“La violenza non è mai amore. Dedicato a Ornella Pinto e a tutte le donne vittime di violenza”. Recita così la targhetta sulla panchina rossa posta a Napoli all’interno del cortile di Castel Sant’Elmo per ricordare Ornella una delle tante vittime di femminicidio in Italia. Una panchina, un simbolo, per gridare forte un messaggio diretto al Parlamento: “Bisogna intervenire subito e in maniera efficace per contrastare il fenomeno del femminicidio, una strage. Sono molto amareggiato per la pochezza della politica italiana su questo tema”, ha detto Giuseppe Pinto, papà di Ornella.

Ornella, insegnante in un liceo, aveva solo 39 anni quando il compagno, Pinotto Iacomino, 43 anni, impugnò un coltello e la colpì 15 volte. Nella stanza accanto c’era il piccolo Daniele, 3 anni, figlio dei due, che oggi ancora chiede della mamma. “È normale che cerchi la mamma – racconta al Riformista il nonno, Giuseppe Pinto – Gli dobbiamo dire la verità: che sta in cielo. Lui a volte lo accetta, a volte no. La nostra è una famiglia distrutta, io sono un morto che cammina”.

Giuseppe non si dà pace giorno e notte. “Quello che è successo a noi non deve succedere più a nessuno – dice – Nessuno mi restituirà mai mia figlia ma io continuerò a lottare affinchè il parlamento faccia qualcosa – dice Giuseppe – Ormai si ammazza una donna per nulla, o per gelosia o perché il rapporto non va più bene. Tutto questo è assurdo in un paese moderno come l’Italia. È qui che deve intervenire lo Stato: la donna va tutelata, lo dice un uomo. È un dramma e chiunque si può trovare nella stessa condizione della mia famiglia”.

“Mia moglie e le mie figlie sono distrutte – continua il racconto Giuseppe – Anche i miei nipoti hanno perso un riferimento: ho 4 nipoti e Daniele 5, il figlio di Ornella. Un mio nipote che sta al liceo mi ha chiesto pochi giorni fa era in difficoltà a scuola su qualche materia. ‘Nonno che abbiamo perso!Io sarei andato da zia per farmi aiutare’, mi ha detto sconfortato. Ornella era un riferimento per tutti”.

Giuseppe Pinto racconta di aver scritto al capo dello Stato e di essere stato ricevuto dal prefetto Valentini quest’estate per rappresentare il suo rammarico nei confronti della politica. “Mia figlia era un’insegnante – continua il papà – Credeva tanto nella scuola e nell’educazione dei più piccoli. Ed è proprio a scuola che si può fare tanto: bisogna educare già da bambini al rapporto tra uomo e donna. Ed è questo che mia figlia stava iniziando a fare da insegnante e me l’hanno ammazzata”.

A pochi giorni dalla giornata contro la violenza sulle donne Giuseppe Pinto è ancora più arrabbiato. “Sono molto amareggiato per la pochezza sul fenomeno dei femminicidi da parte della politica – dice – Ogni anno assistiamo a massacri fatti da fidanzati o da mariti. Chi è che deve tutelare la donna? Lo Stato. Ho invitato Mattarella ad alzare un po’ la voce. A fare interventi legislativi forti e incisivi per scoraggiare chi ha in mente a fare una cosa del genere. C’è bisogno di una legge esclusivamente sul femminicidio. Questa sarà la mia battaglia, me lo chiede mia figlia. So quanto soffriva e come la pensava ogni volta che al telegiornale sentiva di donne uccise dagli uomini. Noi siamo un paese in cui ancora fino a 40 anni fa c’era il delitto d’onore. Siamo arretrati di 200 anni secondo me. Bisogna fare un intervento incisivo per fermare questa strage”.

Giuseppe non ci può pensare a quanto la politica invece sia assente: “Quando mi hanno ucciso mia figlia, solo una parlamentare, Flora Frate, ha fatto un’interrogazione parlamentare a partire da quanto era successo a mia figlia per parlare di femminicidio in generale. Ha detto. ‘È giunto il momento che facciamo qualcosa, non possiamo più assistere passivamente a questo fenomeno’. L’aula era vuota”.

Anche l’iter giudiziaro per Giuseppe e la sua famiglia è uno strazio. “Siamo fortunati ad aver trovato avvocati e magistrati eccezionali e stiamo procedendo velocemente, per fortuna, rispetto alla normativa che esiste. Di solito sono tempi lunghissimi. Ma immaginate ogni volta che c’è un’udienza, la mia famiglia, me compreso, è come se ammazzassero mia figlia ogni volta”.

In tutto questo dolore Giuseppe non è disposto a cedere e da Castel Sant Elmo e dalla certosa di San Martino dove sono state posizionate le due panchine rosse per Ornella, lancia il suo appello alla politica a non restare lì a guardare. Il 25 novembre si è svolto un convegno in ricordo di Ornella Pinto a cui hanno partecipato in tanti. Ed è stata anche l’occasione per inaugurare le panchine tanto volute da amici e colleghi di Giuseppe Pinto, che ha dedicato tutta la vita a quei luoghi in cui lavorava e che ama fortemente. Sono quelli i luoghi del suo cuore ed è per questo che lì quelle due panchine acquisiscono ancora più valore.

Giuseppe ringrazia tutti per la vicinanza, a partire da Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli. “È stato molto vicino alla nostra famiglia e io lo ringrazio con tutto il cuore – continua Giuseppe Pinto – Ha voluto incontrare anche mio nipote Daniele in sagrestia per dare anche a lui il suo sostegno. Ha seguito con interesse e partecipazione tutto il convegno e per me è stato molto importante”.

Per Giuseppe, mentre il mondo della politica si fa sentire poco, può contare sul grande affetto di amici e colleghi che lo stanno aiutando a sopportare il peso del dolore e a non mollare. “Voglio ringraziare i lavoratori di Sant’Elmo, della certosa di San Martino, la Direzione, la Sovrintendenza e il comando dei Carabinieri. Li voglio ringraziare con il cuore perché attraverso questi messaggi, con queste panchine, speriamo che arrivi la nostra voce al Parlamento. In questo momento mi sono stati veramente sempre vicini, sono loro che mi stanno dando la forza e questa panchina è la dimostrazione di quanto lontano deve arrivare il nostro messaggio forte. Mi è stata molto vicina la vicepresidente del Consiglio Regionale, il mio sindacato, la Uil, tutti, non mi hanno abbandonato anzi mi danno la spinta e la forza di andare avanti”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.