L’innovazione può aiutare la giustizia lenta, problema atavico italiano? A pensarla così sono sicuramente gli estoni. Il ministero della Giustizia del paese baltico nei mesi scorsi ha affidato ad un team di ricerca il compito di creare un sistema di intelligenza artificiale capace di svolgere la funzione di giudice, un robot per risolvere le controversie giudiziarie minori e smaltire le pratiche arretrate.

IL CASO ESTONE – L’avvio del progetto è previsto per la fine del 2019: la macchina robotica potrà dirimere decisioni di minore valore, inferiori cioè a 7mila euro. Le sentenze che saranno emesse dall’intelligenza artificiale saranno comunque appellabili, sottoponendole al giudizio di un magistrato ‘umano’.

IL PIANO CINESE – Un progetto simile è stato sviluppato anche in Cina. A giugno la Corte di Internet di Pechino ha infatti lanciato un servizio online per le cause giudiziarie. Nel progetto è previsto un robot-ologramma con le sembianze di una donna particolarmente severa che, grazie ad una intelligenza artificiale, aiuterà il giudice ‘in carne e ossa’ a fare meglio il proprio lavoro, con il processo che potrà svolgersi tramite smartphone.

LA GIUSTIZIA LENTA IN ITALIA – I progetti cinesi ed estoni farebbero il caso dell’Italia, dove i tempi della giustizia sono da sempre biblici. Secondo la Commissione europea nel 2016 ci volevano 514 giorni per arrivare ad una sentenza di primo grado, nel 2017 ce ne sono voluti in media 548, un mese in più, col dato più alto d’Europa. Il Belpaese è il peggiore anche per le sentenze di secondo e terzo grado, rispettivamente 843 giorni e 1299 giorni.

L’Italia spende l’equivalente di 96 euro per cittadino nella giustizia, ma il 63% viene investito dallo Stato per coprire salare e costi del personale dei vari tribunali. Nonostante ciò siamo 23esimi su 27 per numero di giudici per 100mila abitanti, soltanto 10 contro i 43 della Croazia.

 

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