Per tutta la settimana Il Riformista richiama l’attenzione sul tema della violenza sulle donne
Contro la violenza sulle donne non c’è tempo da perdere: la politica trovi il coraggio di intervenire
Le Istituzioni non si possono voltare dall’altra parte. Non c’è una unica ricetta per risolvere il problema delle violenze sulle donne. Ci vorrà anche molto impegno e tanto tempo. Ci vorrà il contributo di tanti soggetti sociali. Ma proprio perché ci vuole il contributo di tutti, la Politica dia un segnale forte ed inequivocabile.
Non c’è tempo da perdere. Le notizie estive ci consegnano un quadro inquietante delle relazioni tra uomini e donne. La violenza è ovunque e ci accompagna su giornali, sui Tg e sui social. Elencare quanto accaduto in questa estate, ci fa capire quanto e come nella nostra società esista, irrisolto, un problema culturale. Le violenze di gruppo avvenute a Caivano, in particolare, hanno superato ogni limite. Coinvolgono ragazzine e ragazzini troppo giovani. Abbiamo finito le parole, ora serve un intervento forte da parte della politica. Questa estate che abbiamo iniziato climaticamente terribile si è trasformata in umanamente orribile.
I fatti di cronaca hanno riportato quotidianamente alla luce una violenza che si sviluppa a tutti i livelli della società. Violenza di genere, femminicidi, violenza sessuale, violenza di gruppo, violenza tra i giovanissimi. Sfaccettature diverse che trovano cause differenti, ma si riconducono tutte ad una educazione assente. L’educazione sessuale che i ragazzini si organizzano spontaneamente in rete su canali di pornografia spinta, la noia che attanaglia troppi cittadini, la debolezza sentimentale che colpisce troppi adulti maschi. Di cause ce ne sono tante, di giustificazione nessuna. Si tratta di mettere un punto.
Non stiamo assistendo ad una violenza astratta all’interno di un videogioco. È reale. Anche le immagini di mercificazione del corpo femminile – la donna ricoperta di cioccolato in un buffet di dolci – non costituiscono certo una novità; sono però la conferma della accettazione della “pornificazione” del quotidiano, diffusa nella rete ed accettata dalle televisioni commerciali. L’assenza di sensibilità e l’indecenza di certe proposte pubblicitarie è sotto gli occhi di tutti. I doppi sensi sono a volte spinti, volutamente volgari. Diciamolo senza paura di essere accusati di moralismo: è una vergogna! Che messaggio diamo alle nostre figlie e ai nostri figli con una simile mercificazione del corpo femminile? Che senso ha parlare di educazione al rispetto e al sentimento nei giovani, se poi roviniamo tutto accettando ogni cosa? La società sta vivendo un momento molto difficile. Mancano quadri di riferimento condivisi, i valori tradizionali sono entrati in crisi, ma non sono stati sostituiti da valori nuovi. L’orizzonte è occupato dall’idea del successo facile, da desideri non mediati dall’attenzione per l’altro e per l’altra.
È aperto il dibattito sui fattori che concorrono a “normalizzare” la violenza soprattutto nelle fasce adolescenziali e post-adolescenziali: l’uso dei videogiochi violenti, di certi social, della pornografia. Ho deciso di aderire a #iononsonocarne perché “La carne è carne” è la frase paradigmatica di una cultura diffusa, che credevamo di aver superato con anni di lotta e invece ci ripiomba pesantemente addosso, e prospera nella sottocultura diffusa dalle chat e dai social. Non è facile costruire un nuovo modello nei rapporti tra uomini e donne che sostituisca quello che ha dominato per millenni. Ci vogliono riflessione, tempo, cura, impegno, volontà.
Le Istituzioni non si possono voltare dall’altra parte. Non c’è una unica ricetta per risolvere il problema delle violenze sulle donne. Ci vorrà anche molto impegno e tanto tempo. Ci vorrà il contributo di tanti soggetti sociali. Ma proprio perché ci vuole il contributo di tutti, la Politica dia un segnale forte ed inequivocabile. Non solo discussioni, parole e propositi. Ma scelte forti e iniziative concrete. Secondo i dati di Donne in rete, solo il 27% delle donne vittime di violenza arriva a denunciare. E questo anche a causa di una certa sfiducia nelle istituzioni, su cui dobbiamo assolutamente intervenire, dando segnali di vicinanza. Molte donne evidentemente non si fidano degli apparati di protezione e per questo decidono di non denunciare. È un tema su cui occorre discutere a partire dalla prossima riunione della commissione femminicidio, che si riunisce il 30 agosto in Senato e di cui faccio parte. Occasione perfetta per entrare nel merito dei problemi, e dare il segnale che la politica e le istituzioni sono presenti su un tema così importante.
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