Signor Presidente,
mi permetto di continuare questo epistolario sui temi a me cari della giustizia che un minimo conosco, se non altro per il fatto che ho messo piede per la prima volta in tribunale nel lontano 1980. Tutti coloro che frequentano i tribunali sanno perfettamente che la giustizia su questa terra non esiste e non può esistere, forse per chi ha la fortuna di crederci può esistere nell’altra vita ma in questa vita certamente no. Del resto il Cristianesimo è nato dopo un processo in cui la folla, vale a dire la giuria popolare, scelse Barabba e mandò a morte Gesù e lo Stato non poté fare altro che eseguire la sentenza dei giudici.

La Giustizia è il mezzo con cui il potere esprime e tenta di giustificare l’uso della forza nei conflitti fra gli  individui e fra gli Stati. Nel 1700 Luigi XVI re di Francia e sua moglie vennero condannati a morte dopo “regolare processo” e più o meno ciò accade anche ora dopo le sconfitte a tutti i capi di Stato, a molti capi di partito e ai loro gregari che non fanno in tempo a tradirli. Io non so e non penso che i vari condannati in questi “regolari processi” fossero innocenti, anche perché il potere è sporco di per sé, del resto la giuria popolare mandò a morte anche Gesù. Per questa ragione i regimi comunisti hanno sempre usato il “processo” come mezzo per diffondere il terrore e affermare e consolidare il loro potere, anzi qualche loro “giurista” sosteneva la tesi per la quale la condanna di un imputato innocente, per la maggior capacità di diffondere il terrore nella popolazione, aveva maggior forza “rieducativa” e furono talmente bravi ad usare i “processi” che Hitler, quando ancora non aveva litigato con loro, mandò in Russia dei suoi emissari a studiare queste tecniche.

Insomma più la giustizia è ingiusta e più è utile e serve al potere. In Italia, dove tutto è sempre più edulcorato, abbiamo comunque avuto il Tribunale speciale per la difesa dello Stato e il Tribunale della razza il cui presidente, secondo le prassi italiche divenne anche presidente della Corte Costituzionale, insomma nel bene e nel male siamo fatti così. Ma c’è poco da fare, chi controlla l’apparato giudiziario ha nelle mani il potere tanto è vero che Togliatti nel ’46 scelse il Ministero di Grazia e Giustizia ma oggi questo apparato è una condizione di evidente e pericolosa  anarchia. Faccio questa triste premessa per dirLe che tempo fa, in un’interruzione tra un’udienza e l’altra mi trovai per caso a parlare con un pm neanche giovanissimo che neppure conoscevo, e ad un certo punto ci mettemmo a parlare della situazione della giustizia di cui avevamo una visione disperatamente identica.

Poi, parlando del codice del 1989, il pm ebbe una reazione che mi lasciò letteralmente interdetto, si fece rosso, si tolse la mascherina e ripeté più volte e a voce alta la frase: «Io ci metto la firma con il sangue per poter tornare al codice Rocco, ci metto la firma con il sangue…». Ora, come ho scritto frequento i tribunali dal 1980 e devo dire che non ho mai colto nelle parole di nessuno tanta convinta esasperazione e disperazione sul drammatico fallimento di questo codice.

Insomma se gli avvocati sono per la massima parte avviliti e disperati, ma per ragioni “commerciali” non lo possono dire o dare a vedere, i magistrati, nonostante il potere, le garanzie e le sicurezze di cui godono, vivono, se possibile, una condizione davvero molto simile. Io non organizzo convegni, ma questa reazione così disperata mi ha fatto ricordare una di quelle poche volte in cui ne ho organizzato uno. Il titolo era «Raccolta e conservazione della prova nel nuovo codice di procedura penale», esattamente trent’anni orsono spiegai le ragioni dell’impossibilità di questa riforma e devo dire che purtroppo i fatti mi hanno dato pienamente ragione, come mi hanno dato e mi danno ragione sugli effetti dell’accesso indiscriminato alla professione.

Di recente si sono tenute le elezioni del Csm dopo la riforma Cartabia che nelle intenzioni avrebbe dovuto limitare il potere delle correnti, secondo quanto mi è stato detto è stato un fallimento pieno ed assoluto perché è risultato eletto un unico e solo candidato indipendente. A me francamente importa poco di tutto ciò, ma se queste sono le premesse, e tali sono, devo purtroppo ricordare a tutti che il 19 ottobre entra in vigore anche la riforma Cartabia del codice di procedura penale e non ho sentito uno, magistrato o avvocato, che fosse fiducioso su queste innovazioni, e questa volta mi unisco al coro e lo faccio anche a voce altissima. Con la limitazione della impugnazioni, che poi sono il cuore della riforma, le già scarsissime garanzie degli imputati deboli, vale a dire quelli difesi di ufficio e gli irreperibili, si riducono ancora, gli incombenti formali degli avvocati si accrescono e si introducono ulteriori adempimenti anche per gli uffici che a me paiono ingestibili e spesso del tutto inutili.

Quello che poi pare veramente incomprensibile in questo contesto è il sostanziale silenzio dell’avvocatura che sembra non rendersi conto che, con l’entrata in vigore di questa legge, dopo il primo grado tutta un’amplissima fetta di clientela debole, che poi è quella che abbisogna di maggior tutela, diverrà di fatto indifendibile. Detto ciò, so che Lei non può fare ancora nulla, so anche che per compiere certi interventi occorre tempo e che nulla può fare neppure il governo uscente perché un decreto che blocchi l’entrata in vigore della riforma oggi sarebbe impossibile ma devo farLe una raccomandazione: quando dovrà mettere mano alla controriforma della giustizia, perché altro non potrà fare e dovrà anche farlo prima possibile, ascolti il parere di chi magari meno titolato vive la vita quotidiana dei tribunali e dia ascolto alle concordi opinioni di quel pm e dell’ultimo degli avvocati come me che ho cercato di riassumere. E magari scelga a caso i suoi consiglieri che forse è anche meglio, tanto peggio di quello che è stato fatto sino ad ora non mi pare né facile né possibile.