La testimonianza
Conviene a tutti se dal carcere si esce migliori di prima
Crediti e debiti, bene e male, vittime e prigionieri. È ora che finisca il tempo della bonaccia. È arrivato il tempo di capire che siamo sulla stessa barca, è arrivato il tempo di issare le vele perché, ne sono certo, è questo il tempo di un vento nuovo, il vento portatore di una vera e nuova giustizia. Deve finire il tempo dell’afflizione, della punizione come unico mezzo di deterrenza e giustizia. Deve finire il tempo dei luoghi comuni, dei pregiudizi, delle umiliazioni, delle pene e delle torture.
La fase esecutiva di una pena parte dal dispositivo di condanna. Sul mio dispositivo vi è questa frase: “si condanna il reo al fine pena MAI”. Il MAI scritto in stampatello maiuscolo, in grassetto. Ora: il giudice pretende un po’ troppo. Insomma, avesse scritto “fino all’ultimo respiro”, la condanna poteva essere attuabile, a meno che quel giudice sia convinto che esistano carceri anche nell’aldilà, e che nel giorno del mio trapasso possa sostituirsi a Dio sedendo sull’assise per giudicarmi di nuovo. A mio avviso, quel giudice nel dispositivo non avrebbe dovuto scrivere “si condanna alla pena”, quanto piuttosto “al miglioramento”.
Un crimine, anche se commesso per vendetta, viene comunque perseguito attraverso la legge. Se togli la vita a una persona, anche se per vendetta, rimane sempre un crimine. Allo stesso modo, se ti appropri della vita di una persona, anche se per vendetta, crimine resta. Quando un giudice condanna al fine pena MAI, trasforma una richiesta di giustizia da parte della comunità in un vero e proprio crimine di vendetta: persegue un crimine commettendo un altro crimine. La differenza è solo una. Lo Stato si sente legittimato in forza del 4bis, quindi il suo è un crimine non punibile (anche se lo stesso 4bis è stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale).
Pensateci: in Iran è legittimo soffocare le proteste pacifiche con l’uso della forza più spietata e disumana, arrivando persino a uccidere i manifestanti. Ma, pur se legittimo, non vuol dire che sia giusto. Non sempre la legittimità può dare la licenza di commettere un crimine contro un essere umano. E quando un giudice dispone quella pena firma sì, con il suo nome, ma lo fa anche a nome vostro, a nome della comunità. Vestendosi con abiti da sadico assetato di vendetta, quel giudice crede di farsi interprete del desiderio della comunità di voler infliggere pene e torture al reo per tutti i giorni che vivrà come risarcimento per il torto subito. È questo il vero senso di giustizia che serve, che è utile al vostro bene? Ma da quando il vostro bene può essere figlio del male?
I prigionieri che hanno sbagliato, o ritenuti tali, sono vostri, sono esseri umani che vi appartengono, ed è un vostro diritto vi vengano restituiti migliori di prima. Lo Stato ve lo deve. È ora che finisca il tempo delle strumentalizzazioni per mantenere in vita l’utilitaristico allarme sociale. È ora di finirla di spacciare la propaganda della vendetta come unico mezzo per la lotta alla mafia. Il fenomeno del male non si può abolire, tantomeno si può convertire in bene con la tortura. Il male si esprime attraverso le persone, ed è trasformando e migliorando le persone che lo si può isolare e sconfiggere, sottraendogli i suoi strumenti. Date, piuttosto, ai prigionieri mezzi e occasioni di fiducia affinché diventino esseri umani migliori. L’attuale metodo è anacronistico. Non ci appartiene più. Questo è il tempo per sviluppare un pensiero nuovo, che mira a trasformare lo scarto in materia prima, le persone in esseri umani.
E ai parenti delle vittime cosa raccontiamo? Dove li mettiamo? Quale conforto si può dare alla sofferenza per l’ingiustizia subita? Io credo che il male, quando aggredisce e distrugge le nostre vite, non ha volto. E non sarà dalle pene altrui che avremo beneficio per noi. Una cosa è la giustizia, un’altra la vendetta. Comprendo e rispetto la sofferenza di chi ha subito un torto, e bisogna vestirsi di coraggiosa umiltà per poterlo sinceramente abbracciare. Si sa, non possiamo modificare il passato, ma scegliere come andare avanti sì, e una scelta giusta è giusta davvero solo quando è libera, e per essere libera è utile avere tutto il nutrimento informativo e formativo.
La vera forma del male è l’atto, non la persona che compie quell’atto. Ed è per questo che si deve migliorare per elevare l’animo del reo, perché un giorno possa riabbracciare la comunità che ha ferito, e la comunità sia pronta ad accogliere quell’abbraccio. Lo stato ha il dovere di mettere in atto questo approccio, ha il dovere di fornire gli strumenti che rendano possibile quell’abbraccio, interrompendo una propaganda dell’afflizione come unico mezzo di giustizia. Il terreno è fertile, ne sono certo. Questo è il momento di essere padri del nostro tempo, il momento giusto per gettare il seme del cambiamento, il momento per fondare una giustizia nuova.
* Ergastolano detenuto a Opera
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