La priorità non è il clima
Cop29, una traversata nel deserto dove mancano tutti i leader produttori di inquinamento
Una traversata nel deserto e non solo in senso metaforico. Si sono aperti infatti i lavori della nuova 29esima Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfcc), la COP 29, annuale appuntamento in cui i Governi mondiali si riuniscono per discutere dei problemi ambientali e delle eventuali proposte per affrontarli. Ma stavolta non ci sarà nessuno dei leader che contano.
Assenti i produttori di inquinamento
Hanno, infatti, disertato prima di tutto i rappresentanti dei paesi maggiori produttori di inquinamento: il presidente americano Joe Biden, il brasiliano Lula, il premier indiano Modi, il leader maximo cinese Xi Jinping. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea ha preferito volgere lo sguardo altrove e così Anthony Albanese, premier australiano e i capi di grandi paesi come Germania, Francia, Canada e Giappone e Sudafrica. Ma qual è la ragione di questa defezione che arriva nonostante i ripetuti e roboanti strali lanciati dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, sulla catastrofe climatica e l’immancabile innalzamento delle temperature? “Follow the money” si usa dire negli Stati Uniti ed è proprio questa la prima ragione dell’insuccesso annunciato di questo appuntamento.
Alla COP29 si parlerà soprattutto di finanza e investimenti, non proprio un tema che ha a che fare con l’ambiente. L’obbiettivo più importante in agenda è il New Common Quantified Goal (Nuovo obbiettivo collettivo quantificato) che punta ad alzare la quota per aiutare i Paesi più vulnerabili ad affrontare il cambiamento climatico, che fino a quest’anno era stabilito a 100 miliardi di dollari l’anno a carico dei Paesi più industrializzati. È simbolico della ritrosia a mettere mano al portafoglio il fatto che il target sia stato raggiunto, dal 2010 al 2024, una sola volta nel 2022. Il problema è quello di sempre: a chi spetta pagare e quanto devono contribuire ora anche Paesi in via di sviluppo come la Cina o l’India o i paesi africani?
La priorità non è il clima
Allo stato attuale pare che i nuovi colossi emergenti abbiano ben altre priorità di sviluppo in agenda prima delle questioni climatiche. Ma non solo. Anche la finanza privata sarebbe chiamata a dare un contributo e questo è un altro grande ostacolo. C’è poi il tema della sede scelta per ospitare l’edizione di quest’anno che ha già fatto ampiamente discutere, cioè l’Azerbaigian, uno dei maggiori produttori di fonti fossili al mondo, e grande esportatore di gas anche in Italia, e peraltro, paese musulmano non certo in vetta al gradimento di molti governi, in primis quello americano.
Infine, proprio in ultimo, è arrivata la doccia fredda del neo presidente Trump che ha annunciato il defilarsi degli Stati Uniti dagli accordi sul clima di Parigi a partire da gennaio. Un’ulteriore prova dell’americanexit trumpiana, piuttosto prevedibile visto lo scetticismo in materia che alberga nella nuova amministrazione. E mentre gli ambientalisti inscenano l’ennesima protesta, sulle politiche climatiche suona il de profundis. Forse per sempre.
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