Mentre gli Stati stanno affrontando con enormi difficoltà l’emergenza sanitaria del Coronavirus, si fa strada col passare dei giorni lo spettro delle gravissime ricadute economiche che l’epidemia porterà con sé, e che potrebbero trasformarsi in un vero e proprio cambio di paradigma globale. Per farsi un quadro sono sufficienti alcuni elementi: la Cina è la seconda potenza economica mondiale ed è anche uno dei principali ingranaggi di un sistema di produzione globalizzato dal quale dipendiamo tutti. Produce enormi quantitativi di merce pronta per essere venduta al consumatore finale e produce beni – i semilavorati, i componenti – che s’inseriscono nella filiera produttiva di altre aziende. Produce inoltre materia prima – tessile, acciaio – e per larga parte le merci prodotte viaggiano via nave, impiegando circa un mese per raggiungere l’Europa.
In Cina il Coronavirus ha evidenziato per ora una bassa mortalità, tra il 2 e 3 per cento dei contagiati (tra questi molti con patologie preesistenti, diabete, asma, problemi cardiaci…); il vaccino non è stato ancora individuato e intanto i rimedi temporaneamente utilizzati sono stati l’isolamento dei malati, la drastica riduzione della mobilità e il continuo monitoraggio della popolazione. Dopo un’iniziale sottovalutazione del fenomeno, la diffusione delle informazioni è stata scarsa, contraddittoria e spesso aleatoria. Ad aggravare la diffusione del virus ci sono stati gli imponenti spostamenti di cittadini cinesi sia all’interno che all’esterno della Cina a causa del Capodanno Cinese. In molte zone i siti produttivi sono chiusi da circa un mese. Chiusi anche i luoghi pubblici e gli uffici pubblici. Manca totalmente l’informazione circa la riapertura delle attività produttive e commerciali.
Scarsissime anche le informazioni riguardo possibili casi di contagio in Africa, continente che vede un’importante attività economica ed estrattiva svolta da aziende cinesi. Con un servizio sanitario ancora poco sviluppato e con una totale assenza di monitoraggio o controllo della diffusione del virus, i rischi di una diffusione massiccia del Coronavirus sono altissimi, con tutte le immaginabili conseguenze del caso. Tutto questo impone di affrontare con decisione il tema degli effetti economici che l’epidemia potrà provocare in Italia e in Europa, a cominciare già da questo mese. Si dovrà infatti registrare una drastica riduzione delle merci provenienti dalla Cina, sia di quelle destinate al consumatore finale che di quelle destinate alle varie filiere produttive. La conseguente scarsità di offerta a fronte di domanda costante determinerà inevitabilmente un aumento dei prezzi di queste merci, ma anche una scarsa programmazione degli ordini e una conseguente intermittenza nelle consegne. Inevitabilmente si determinerà un rallentamento delle attività manifatturiere e persino la temporanea cessazione di produzioni interamente dipendenti da materie prime cinesi, a partire dal settore tessile. Il che determinerà un rallentamento delle esportazioni e una conseguente incertezza dei mercati finanziari.
Non è uno scenario apocalittico quello che si delinea, ma semplicemente una forte probabilità: dobbiamo dare per imminente un ulteriore rallentamento dell’economia europea. Il governo Italiano dovrà dare prova di grande risolutezza nell’affrontare questa situazione. La debolezza della situazione economica e finanziaria italiana necessita di iniziative immediate, e in questo quadro l’attuale governo dovrà avere il coraggio di elaborare lo schema della prossima legge finanziaria tenendo già conto fin da ora di tutti i parametri al ribasso. Dovrà inoltre immaginare ed attuare politiche che incentivino il reshoring, ovvero il ritorno a casa di produzioni che erano state delocalizzate nei paesi asiatici. Dovrà poi programmare un’attenta e intelligente politica di ammortizzatori sociali e infine lavorare in maniera incisiva per far sì che, date le condizioni attuali, l’Unione Europea attui un ripensamento – o una moratoria – del Patto di stabilità e crescita. Sono scelte fattibili e su questo è immaginabile una convergenza anche da parte delle forze politiche di opposizione.