L'emergenza
Coronavirus, il dramma di chi lo combatte in corsia: “Non possiamo più abbracciare i nostri figli”
L’emergenza coronavirus sta mettendo a dura prova l’Italia e il mondo intero. In particolar modo il nostro Paese sta subendo un aumento esponenziale di casi di contagio e decessi dovuti al temuto covid-19. Gli ospedali di tutta la penisola stanno attraversando ore toste e molto buie: il personale sanitario tra medici, infermieri e tutti coloro che combattono in corsia contro questa nuova pandemia sono ormai in ginocchio. E se si fermano loro, ci fermiamo tutti. Per questo tutti gli operatori sanitari sono considerati degli ‘angeli’ per il loro impegno costante e per le innumerevoli ore passate nelle sale di ogni nosocomio d’Italia. Ma è anche vero che sono sottoposti a molti rischi, tra tutti quello di contrarre il coronavirus. Carlo Palermo, segretario nazionale del maggiore dei sindacati dei medici ospedalieri, l’Anaao-Assomed, ha affermato ai microfoni dell’ANSA che “sono oltre duemila gli operatori sanitrari, tra medici e infermieri, contagiati dal nuovo coronavirus”. La stima, precisa, “si riferisce complessivamente a medici ospedalieri, medici di famiglia,infermieri e operatori sanitari. E’ un numero spaventoso e tale situazione mette purtroppo in ulteriore difficoltà le strutture sanitarie”, spiega Palermo.
Queste dichiarazioni riportano così un problema reale del nostro sistema sanitario e delle difficoltà a cui stiamo andando incontro, giorno dopo giorno. Ciò è uno dei motivi per cui rispettare l’obbligo di stare a casa e di proteggerci il più possibile aiuta non solo noi, ma l’intera popolazione e soprattutto chi dovrà essere pronto in prima linea per curarci. Sono molti gli operatori sanitari che non solo stanno sensibilizzando le persone a rispettare le regole, ma ci stanno mettendo la faccia con foto, selfie per dimostrare che loro stanno sacrificando molto anche per noi.
IL DRAMMA DI FEDERICA – “Una delle cose che sta diventando più difficile da gestire è che noi mamme medico non possiamo più abbracciare i nostri figli. Molte di noi cominciano a cedere, adesso serve lo psicologo”. Così parla la 37enne Federica Pezzetti, medico dirigente presso l’Ospedale di Cremona, uno dei nosocomi più colpiti del territorio lombardo. Così come molti medici, anche Federica ha sentito la necessità di raccontare il lato ‘umano’ di chi lavora in ospedale ed è impegnato in prima linea rilasciando un’intervista a Repubblica. In un clima di preoccupazione e tensione “a volte si litiga per sciocchezze, per i guanti che non sono arrivati o le mascherine che non si trovano, bastano poche cose per far saltare i nervi”, diventa così necessario un sostegno, come lei stessa spiega: “Abbiamo chiesto che gli psicologi del lavoro siano sempre presenti per aiutare medici e infermieri. C’è tanto, tanto bisogno di parlare, di sfogarsi – sottolinea il medico – In emergenza, con turni che diventano spesso di 13-14 ore, tra lavoro e pausa ci sono medici che restano dentro anche 34 ore, prima di prendere una boccata d’aria: è logico che così a lungo non si regge, se non c’è un sostegno”.
La difficoltà di Federica è lo specchio di una situazione che vivono anche altri medici e infermieri del suo ospedale: “Da diversi giorni. Da più di due settimane, da quando è diventato tutto così difficile e senza sosta, io e altre mamme medico o infermiere del nostro ospedale abbiamo dovuto prendere precauzioni anche a casa. Al mio piccolo di sette anni ho provato a spiegare perché, dicendo la verità. Quando rientro mangio sola, tengo le distanze da mio marito, dormo separata, faccio tanta attenzione. È successo di finire alle tre e mezza di notte, rientrare a dormire, e tornare in ospedale alle otto”, racconta il medico. “Il bacio al figlio lo mandi col pensiero. Ci sono medici che hanno spostato la famiglia dai suoceri per scongiurare rischi di contagio, c’è un neurochirurgo che non vede i figli da tre settimane. È tutto cambiato”.
Come ammette la stessa Federica, in queste condizioni di pressione così forte è del tutto normale avere paura e lasciarsi andare ad un momento di pianto: “Certo che c’è la paura del contagio. Ma c’è soprattutto per le nostre famiglie, per chi ci è accanto. Quando sei stanchissimo e vedi arrivare ambulanze di continuo e sai che i posti letto sono al limite, cominci a cedere perché non vedi la fine. Si piange soli – aggiunge -, di nascosto, quando si è un po’ al limite, magari in una stanza. Ma è un momento e poi si riparte: c’è l’adrenalina, la rabbia, le lacrime”. Anche se dopo tutta la tristezza e gli sfoghi, uno dei momenti che sta più ardentemente attendendo è quando riuscirà ad avere contatti con la sua famiglia. Infatti la prima cosa che farà, confida il medico, è “abbracciare mio figlio e mio marito per un giorno intero. Un giorno!”
IL DRAMMA DI ANTONIO E XHESEDA – Da Cremona a Napoli a volte basta un attimo, come nel caso di Antonio e Xheseda, una coppia di medici residenti a San Giorgio a Cremano, un comune del capoluogo campano. Il medico urgentista Antonio Vernillo, sul suo account Facebook, ha pubblicato qualche giorno fa un post che ha subito fatto il giro del web e scatenato tanti commenti di solidarietà e gratitudine. Antonio e sua moglie, infatti, hanno deciso di separarsi dai loro bimbi per senso di dovere. In queste situazioni di emergenza, come quella del coronavirus, la loro professione diventa una missione ancora più importante da portare a termine e spesso porta a scelte anche dolorose per il bene degli altri, in questo caso dei loro figli.
“Oggi è per me un giorno triste. Oggi io mia moglie decidiamo di allontanarci dall’unica cosa che rende colorate le nostre vite. Oggi, decidiamo di allontanarci dai nostri bimbi per poter continuare a lottare. combattiamo per voi contro un nemico invisibile, senza paura e rinunciando ad ogni cosa perchè siamo medici”, scrive il dottore. invitando chiunque a ricordarsi dell’operato dei sanitari anche quando questa emergenza coronavirus finirà. “Non siamo pazzi ma solo responsabili verso il ruolo che abbiamo nei vostri confronti, e lo eravamo anche ieri e lo saremo domani. E non solo noi ma tutti gli operatori sanitari che la mattina si svegliano o che magari la notte non dormono per poter salvaguardare ogni singola vita. Non abbiamo bisogno della vostra riconoscenza oggi, ma della vostra memoria domani”.
E ancora: “Ricordatelo ogni volta che penserete di aggredirci o denunciarci cancellate dalle vostre menti e dai giornali “malasanità” perchè saremo gli stessi che oggi danno molto più di quello che gli altri immaginano. Perchè noi, ogni volta che entriamo in opera lo facciamo per tutelare ogni singola vita, anche quando le cose non vanno per il meglio. Spesso rinunciamo a tanto senza che voi ci pensiate per poter essere lì dove c’è bisogno e senza il coronavirus a farvi riflettere”. Infine conclude: “Non siateci riconoscenti oggi, ma ricordatevi di noi domani perchè domani lotteremo allo stesso modo”.
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