Col passare dei giorni l’allarme Coronavirus sembra acquietarsi. Il macabro tachimetro che conta le disgraziate vittime, dopo un’impennata, sembra essersi calmato, ma rimangono ancora molti dubbi da sciogliere. Per quanto riguarda la propagazione, recentemente il virologo italiano Roberto Burioni ha ipotizzato che i cinesi stiano barando sui dati: «Nei giorni scorsi autorevoli colleghi, come Pier Luigi Lopalco, hanno detto che dalla Cina arrivavano piccoli segnali che inducono a un flebilissimo ottimismo: il numero dei casi di coronavirus sembrava salire con meno intensità negli ultimi giorni. Purtroppo, però, esiste la possibilità che questo calo derivi da una sconcertante decisione della Cina: considerare casi confermati solo quelli che risultano positivi al test e hanno sintomi. In altre parole, chi ha il test positivo, ma non ha sintomi, non rientra nel conto». Il virologo prosegue: «Io non so dirvi se sia vero, perché non conosco il cinese, ma la direttiva sarebbe stata emessa il 7 febbraio».

Riassumendo: «Contare i casi in questo modo ha un nome ben preciso: barare. Spero non sia vero». Anche nel terzo paper sul Coronavirus pubblicato di Analytica, centro studi d’intelligence di Torino, s’ipotizza che i cinesi stiano mentendo: «Nelle precedenti analisi avevamo supposto che il governo cinese tendesse a fornire informazioni incomplete sul numero d’infetti e di morti. Un numero crescente di analisti nel mondo valuta infatti, esattamente al nostro stesso modo, che mediamente la Cina fornisca numeri riguardo l’infezione ridotti di un decimo rispetto alla portata reale. Molti articoli e studi riportano stime di oltre centomila contagiati e, probabilmente, fra cinquemila e diecimila vittime. In particolare da Honk Kong arrivano studi che confermano questi numeri, così come da Londra».

Gloria Wang Zheng vive da anni in provincia di Mantova, alcuni giorni fa ha lanciato un appello: nelle città-metropoli di Jining e Yantai manca materiale sanitario. La Gazzetta di Mantova l’ha raccolto: «attualmente la maggior parte delle risorse sono state indirizzate alla città di Wuhan, epicentro dell’epidemia. Si è creata un’emergenza nell’emergenza e abbiamo saputo dal personale dei due ospedali che c’è carenza di questo materiale, mancanze che fanno aumentare il rischio di contagio durante la fase di cura del Coronavirus». Intanto a Wuhan si procede anche con il lavaggio delle strade con disinfettanti e uso di cannoni emettitori di aerosol. È enorme l’impegno del Governo di Pechino per rimettere in moto la macchina Cina: è l’altra faccia di un sistema autoritario. Determinato ed efficiente. Innanzitutto, così com’era prevedibile, qualche epurazione tra i dirigenti sanitari e politici della zona dove si è sviluppato il focolaio, ritenuti grossomodo responsabili del ritardo con cui è stata comunicata la presenza del virus.

Contemporaneamente, per acquietare qualche malumore tra la popolazione, una dichiarazione che riabilita, fino a farlo diventare un “eroe ordinario” (così ha scritto il Global Times: «Li, come membro del Partito Comunista Cinese ha condiviso la determinazione e lo spirito di sacrificio trovato tra molti membri del Partito che ora stanno combattendo la dura battaglia contro la malattia»), il medico Li Wenliang, che a inizio dicembre intuì la presenza di un virus potenzialmente pericoloso, poi deceduto di Coronavirus. Al medico che lavorava presso l’ospedale di Wuhan aver condiviso la sua intuizione a mezzo WeChat con largo anticipo con alcuni colleghi è costato una convocazione da parte della polizia locale, una reprimenda per «avere disturbato l’ordine sociale» e quindi la firma di un documento dove negava ogni scomoda e non omologata ipotesi. Ora lo sforzo di Pechino si sta concentrando anche sul versante economico.