L'interrogativo
Coronavirus, l’Italia vittima del pregiudizio europeo o di se stessa?
Nonostante diverse grida al complotto anti Italia, che sarebbe stata lasciata sola e penalizzata dagli altri Paesi europei anche di fronte al Coronavirus, a parte qualche eccezione individuale – tipo il video cretino di Canal+, immediatamente ritirato dalla rete – non ho visto, pur vivendo la maggior parte del mio tempo all’estero, particolare malizia o pregiudizio nei confronti dell’Italia. Di fronte a un’epidemia che rischia di diventare pandemia, e quindi riguarda tutto il pianeta. Le notizie allarmiste sull’Italia rispetto alla situazione negli altri paesi – amplificate dai media e sui social – sono venute dall’Italia. Non dall’estero. Ove non fanno che riprendere i lanci nazionali.
Vivendo da quasi 30 anni a Bruxelles, dove non è vero che il virus non ci sia già – e chissà da quanto – ma dove è stato evitato sinora un approccio troppo allarmista, non posso non comparare i sistemi mediatici e giudiziari di due paesi molto diversi tra loro. Anche se apparentemente simili ed entrambi fondatori dell’Unione Europea. Fatta la comparazione mi pongo una domanda. E cioè se il non ingiustificato timore dei nostri governanti e amministratori per il rischio di ricadute giudiziarie-mediatiche, dovute in gran parte ad un sistema mediatico-giudiziario molto diverso da quello della maggior parte degli altri paesi europei, e che non risparmia nessuno dalle sue bizzarrie, non abbia portato al più alto livello della loro autotutela nella gestione dell’emergenza Covid-19.
Autotutela che non necessariamente coincide sempre con la tutela generale del cittadino che, assieme al bene primario della salute, si aspetta dalle pubbliche autorità di essere tutelato anche sotto altri profili. Compreso quello della sopravvivenza economica. Mi chiedo cioè se, di fronte al rischio di un qualunque sostituto Procuratore della Repubblica che potrebbe promuovere un’indagine nei confronti del Presidente del Consiglio, di un ministro, o di tutto il governo per il reato di epidemia colposa, ovvero di diffusione cagionata per colpa di agenti patogeni (combinato disposto degli articoli 438 e 452 del codice penale), dovuta a una qualche omissione, i nostri governanti non abbiano soprattutto cercato di proteggersi a catena da ogni possibile addebito personale.
Perché la trasparenza e il rigoroso rispetto dei dettami del mondo scientifico utilizzati nella gestione della crisi – che riconosco all’Italia molto più che ad altri – se non attuata di concerto e assieme agli altri stati Ue rischia di condurre agli stessi effetti della nostra politica antinucleare. Così come le frontiere non ci proteggono dal diffondersi delle radiazioni nucleari, non ci proteggeranno neppure dal virus. E così come paghiamo da decenni l’energia elettrica molto più cara dei francesi – dai quali importiamo quella prodotta dalle loro centrali nucleari – potremo fare tutte le quarantene prescritte dagli esperti sanitari, ma se le stesse misure non verranno attuate al più presto anche dai nostri vicini, ci beccheremo il virus proveniente dalla Francia, dalla Germania o magari dallo stesso Belgio. Pur essendoci accollati, da soli, il grosso prezzo della nostra pur encomiabile attività di argine all’epidemia, e di maggiore trasparenza di altri sui casi veramente accertati.
La principale differenza con l’Italia è che tutti gli altri paesi, nel tutelare gli interessi dei propri cittadini, tengono maggiormente conto dell’interesse globale. Che, oltre a quello prioritario della salute, è anche economico e di ordine pubblico. In recente intervista televisiva, un noto epidemiologo diceva che, come epidemiologo, avrebbe chiuso subito tutte le zone contagiate e messo tutta la cittadinanza in quarantena. Precisando, però, che lui non è un economista né un politico. Per prendere decisioni politiche si deve tenere conto anche di altri interessi non troppo meno importanti della stessa salute dei cittadini. Ed è quello che sembra abbiano sinora voluto fare i governanti degli altri paesi.
I quali però, salvo il dolo manifesto, non hanno l’incubo di poter essere triturati da una qualsiasi Procura del territorio nazionale per scelte politiche e di governo che ritengono legittime e di dover prendere per tutelare l’interesse globale, compreso quello sanitario, del proprio paese. Perché negli altri paesi – eccetto che per fatti gravissimi, spesso appositamente previsti dalle costituzioni nazionali – per i loro atti di natura politica i governanti rispondono normalmente solo al giudizio politico e dei loro elettori. E questa grande differenza, che caratterizza il nostro Paese rispetto alla maggior parte dei nostri partner ha forse contribuito a giustificare il differente approccio sinora, e sottolineo sinora – perché penso di non sbagliarmi nel credere che le misure italiane verranno presto adottate in tutta l’UE -, tra l’Italia e tutti gli altri Paesi, Cina esclusa, di fronte allo stesso problema. Con gravissime conseguenze economiche e di immagine pagate, sinora, solo dall’Italia.
Non voglio dire che gli altri abbiano fatto meglio di noi. Voglio semplicemente analizzare più freddamente di quanto abbia letto in certi commenti sulla stampa o sui social, le diverse situazioni nazionali, provando a capire le ragioni della diversità delle scelte di fronte allo stesso problema. Che nessuno potrà mai fermare alle proprie frontiere. Prendersela sempre con gli altri Paesi o con l’Europa, in uno spirito di vittimismo, ignorando invece problemi istituzionali e strutturali che stanno alla base di scelte diverse – e che a chi scrive appaiono antichi e nostrani – a me sembra un po’ come abbaiare alla luna. Rischiando di continuare a farci del male da soli.
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