Che cosa accade quando un ingranaggio del meccanismo si ferma? Che cosa può succedere quando ci si accorge, ed è evidente, che il modello di governance cinese non ha funzionato? Da questa parte del globo tutti in fila, composti, ad applaudire la costruzione in tempi record di un ospedale a Wuhan, capace d’ospitare fino a diecimila pazienti. Le immagini sono note: colorati escavatori meccanici sparpagliati in una vasta area intenti, alla luce del sole o a quelle delle fotoelettriche, a scavare per fare impiantare i basamenti della grandiosa nuova struttura sanitaria. Poi, arrivano enormi cataste di lastre in cemento armato pronte per venire velocemente montate. Aspettiamo le porte e gli infissi. Tante le immagini diffuse della gloriosa costruzione del tempio della sanità emergenziale di Wuhan. Tutto efficiente, tutto a tempo di record.
Quelle foto così volutamente popolari, così da regime, sono la dimostrazione della gestione autoritaria di un’emergenza. Dopo il primo ospedale da campo è prevista la costruzione di altri due, a breve diventerà uno sconfinato lazzaretto manzoniano, manca solo il fossato. Ora che sappiamo tutto della costruzione dei nuovi ospedali, perché con altrettanta solerzia ed attenzione non vengono diffuse immagini delle città deserte, dei trasporti bloccati, delle migliaia di persone che non possono muoversi, della situazione nelle campagne? Insomma, perché non ci è dato sapere per capire la gravità dell’infezione? Il virus è globale, come l’economia, gli scambi commerciali, la finanza e il turismo. I numeri sono spaventosi, quasi difficili da misurare e immaginare. Centinaia di milioni di cinesi tra pochi giorni, terminate le festività, dovranno trovare la maniera per tornare al lavoro. Per ora tutto è bloccato, imbalsamato, incerottato. Il paradosso è che l’efficienza militare della gestione della crisi segna in modo indelebile la politica di Pechino che tendeva alla modernità.
Qualcosa nella severa filiera gerarchica non ha funzionato: forse la filiera stessa. La severa censura sta facendo il resto. Fino ad ora inutili i tentativi di creare un contatto diretto e non mediato con i residenti in Cina: l’omologata risposta comune è «la Cina sta rispondendo al meglio delle sue capacità per risolvere la situazione». Il paese del Dragone non è più un’isola, ora è un importante player globale, economico, militare che, inoltre, anche attraverso la Nuova Via della Seta, vuole allargare la propria influenza. La Cina vuole controllare rotte terrestri e marittime, gestire nodi geopoliticamente strategici, imporre la sua moneta negli scambi internazionali, essere presente con rappresentanti nelle organizzazioni internazionali, usare l’arte del soft power per guadagnare consenso. Gli interscambi commerciali parlano chiaro: se si ferma la Cina ne risente immediatamente anche l’economia del globo.
Nel Paese del Dragone l’economia, la crescita economica, l’uscire dalla povertà fanno parte di un modello che garantisce un benessere diffuso ed è il collante per mantenere la stabilità sociale. Un tacito scambio tra il severo potere centralizzato e i cittadini, pronti a rinunciare ad alcune libertà pur di emanciparsi e fare diventare grande la Cina. Il Presidente Xi Jinping è bravo e ambizioso, è il nuovo imperatore, colui che vuole far tornare grande e potente la Cina. Il grande “sogno cinese” rischia però, non di fermarsi, ma un grave inciampo: il Coronavirus. Una nazione che si dice moderna così fortemente interdipendente con le altre economie è inciampata: il suo sistema autoritario non è riuscito a gestire le fasi iniziali della crisi.
Né è riuscita a uscire dal suo volontario isolamento mediatico. Ha agito con severità quando molti abitanti dei centri potenzialmente infettati dal virus erano già scappati, è corsa ai ripari con importanti misure di stampo militare: isolare zone di una estensione per noi non immaginabile, ordinare alla popolazione di non uscire di casa, bloccare i trasporti, gli scambi e gli approvvigionamenti. Ma il mondo è globalizzato. Ora gli imprenditori italiani, quelli europei e, in forza della globalizzazione, quelli di tutto il mondo sono giustamente preoccupati.
Le informazioni provenienti dalla Cina non soddisfano legittime domande, anche semplici, ma fondamentali: il mio container carico di merce made in China arriverà al porto di destinazione? E il prossimo quando potrò riceverlo? Le produzioni cinesi si fermeranno? Ieri il Global Times, voce ufficiale in lingua inglese di Pechino, ha cominciato ad affrontare l’argomento: «Molte imprese (cinesi, n.d.a.) potrebbero subire perdite o addirittura chiudere (…) Quando i casi infettivi in tutto il Paese saranno notevolmente ridotti, quando le persone avranno meno probabilità d’essere infettate prendendo treni e aerei e quando le persone potranno essere curate se infette, le attività economiche riprenderanno».
Lo Stato dovrà intervenire: «Il governo centrale e i governi locali dovrebbero attuare politiche preferenziali per le aziende che subiscono maggiori perdite. Garantire la vita di queste aziende significa garantire occupazione e stabilità sociale. Implicazioni sia economiche che politiche». Il resto del mondo rimane con il fiato sospeso in attesa di capire cosa realmente è accaduto in Cina e comprendere quali implicazioni (anch’esse reali) il Coronavirus può avere sul sistema economico globale. In un mondo fortemente globalizzato, dove anche i virus sono globalizzati, quando un ingranaggio s’incaglia tutta la macchina rischia di rallentare. Paradossalmente il Coronavirus è un’opportunità per la Cina per dimostrare al mondo intero i suoi sforzi verso la modernità.