Nel Sì & No del giorno del Riformista spazio al dibattito sull’addio di Corrado Augias alla Rai. Giusta la sua scelta e opportune le sue dichiarazioni? Ne scrivono i giornalisti Mario Lavìa, pronunciandosi per il sì, ed Aldo Torchiaro per il no.

Corrado Augias merita la massima stima. Ha saputo diventare un divulgatore culturale di prim’ordine e ha parlato a quattro generazioni di telespettatori. Ha conquistato al piacere della lettura, per dirne una, molti giovani che hanno preso parte alle sue trasmissioni: voleva il pubblico in studio, fatto di studenti e scolaresche. Chapeau, dunque, e grazie. Lascia la Rai. Fa bene? No. O meglio: liberissimo di andare dove lo pagano meglio, ma ci risparmi, almeno lui, maestro di buone letture e riconosciuto alfiere dell’onestà intellettuale, l’ormai consunta tiritera sulla Rai asfittica. A Viale Mazzini è entrato nel 1960, quando al governo c’era la destra democristiana di Fernando Tambroni. Ha visto valorizzare i suoi spazi quando c’erano Andreotti e Cossiga. È rimasto fino ai suoi 88 anni di oggi, attraversando senza inarcare un sopracciglio i tre governi guidati da Silvio Berlusconi. Allora andava tutto bene: le posizioni conquistate dall’intellighenzia di sinistra andavano conservate, se possibile consolidate. Oggi ci fa sapere che la Rai non gli piace più.

Mentre due o tre leve di giornalisti, pur preparati, brillanti e agguerriti non trovano spazio perché Viale Mazzini non bandisce concorsi, lui preferisce “Lavorare con altri”. Mentre sono in migliaia i giornalisti professionisti che rimangono al palo dell’eterno precariato o – quando hanno fortuna – vengono contrattualizzati di mese in mese con l’espediente dei programmisti-registi a partita Iva, Augias dice che “In Rai non si può lavorare bene”. O meglio: “Non amo l’improvvisazione. E in Rai oggi vedo troppa improvvisazione oltre a troppi favoritismi”. Ecco un’altra scoperta tardiva. I favoritismi non esistevano nella Rai lottizzatissima degli anni Ottanta e Novanta? Non è un segreto per nessuno: Mamma Rai era generosa con tutti, dava un cameraman al Psdi ogni tre che ne aveva la Dc. I tecnici delle luci al Pci ma almeno un fonico su due al Psi. E per essere meno scherzosi: le direzioni di tutti i canali Radio Rai, di tutti i Tg, di tutte le Reti venivano accuratamente suddivise per partiti, avendo cura di sfamare a dovere anche l’opposizione.

Questa è stata per sessant’anni la Rai in cui Corrado Augias ha potuto esercitare liberamente la sua professione, intrattenendo il pubblico con ogni libero commento e ogni pur brillantissima dissertazione. Fino a oggi, però, non c’erano problemi. E non ne avevano segnalati, al pari di Augias, Fabio Fazio e Luciana Littizzetto. Né se ne era accorta Lucia Annunziata, che aveva potuto condurre con maestria la sua In Mezz’ora sotto tutti i governi. Bianca Berlinguer aveva pontificato per vent’anni contro lo strapotere di Berlusconi e il suo conflitto di interessi: ha smesso quando Mediaset le ha offerto un contratto più interessante. Che ha fatto bene ad accettare. Così come fa bene Corrado Augias a valutare nuove sponde, a misurarsi con nuove sfide. Ha 88 anni e ancora molta energia, gli facciamo tanti auguri e lo seguiremo nella futura veste di volto di Urbano Cairo, su La7. Ma ci risparmi i giudizi improvvisamente caustici su quella Viale Mazzini a cui la sua stessa storia professionale lo lega indissolubilmente. “La Rai era una delle eccellenze dell’Italia del boom”, rimarca con nostalgia.

Per correttezza va ricordato che la nostra emittente di Stato è ancora la prima azienda culturale d’Europa per numero di programmi prodotti, di ore di documentazione storica, per canali tematici dedicati. Rimane una eccellenza, la Rai. E lo rimarrà anche in futuro, quando le maggioranze di governo, come funziona in democrazia, saranno cambiate. Augias abbia rispetto dei tanti giovani che cercano di entrare e trovano le porte blindate, ben diversamente da com’era quando iniziò lui. Rimanga, se vuole essere coerente con la sua lezione di vita. O vada, ma ci risparmi la morale.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.