Nel Sì & No del giorno del Riformista spazio al dibattito sull’addio di Corrado Augias alla Rai. Giusta la sua scelta e opportune le sue dichiarazioni? Ne scrivono i giornalisti Mario Lavìa, pronunciandosi per il sì, ed Aldo Torchiaro per il no.

Qui il commento di Mario Lavia

Qualche decennio fa uscì un libro di un economista raffinato, Claudio Napoleoni, che aveva un titolo bellissimo: “Cercate ancora”. Due semplici parole che designano a perfezione il “mestiere” dell’intellettuale. Ecco, è una formula che si attaglia benissimo a Corrado Augias, forse l’ultimo vero intellettuale che ha lavorato in Rai, di quella categoria degli Enzo Siciliano, Umberto Eco, Enzo Biagi, Angelo Guglielmi, Arrigo Levi, Sergio Zavoli. Usiamo purtroppo un tempo passato: ha lavorato. Perché da ieri Corrado Augias non sarà più del servizio pubblico (complimenti a La7 che se ne gioverà) avendo rotto con la Rai non in seguito a un furibondo litigio ma, come nelle storie d’amore più tristi, perché non avevano più nulla da dirsi. Persino la polemica finale Augias l’ha condotta con tanto più stile quanto più appare acuminata nella sua verità, attaccando “il dilettantismo, le scelte improvvide, la presunzione che una pedina valga l’altra, l’inconsapevolezza che l’efficacia televisiva è una delicata miscela di professionalità e congruenza con l’argomento, la dimenticanza che l’egemonia culturale non si può imporre piazzando un fedele seguace qua e uno là”.

Come dargli torto? Dall’uno-vale-uno di grillesca memoria siamo passati all’uno-vale-l’altro della Rai meloniana, che poi concretamente vuol dire che tutti possono fare tutto e quindi tanto vale che ci metto l’amico. L’autore di “Babele” ne ha tratto la conclusione più ovvia e dignitosa: andarsene, in un giorno d’autunno con le sue tante valigie di cultura e di stile, dopo tante magnifiche avventure, sempre coronate da successo di pubblica e di critica – due cose che a questa Rai evidentemente non interessano; se n’è andato alla sua maniera, senza alzare la voce, con l’eleganza di uno Swann incamminandosi per nuove strade consapevole delle sue ragioni. Augias va via e Pino Insegno resta, ma è un’ironia che fa male a chi alla Rai vuol bene e la considera una infrastruttura essenziale del Paese, oltretutto pagata da tutti. E si pagherebbe molto più volentieri “Babele”, “Telefono giallo”, “Enigma”, “Visionari”, “Quante storie”, “Città segrete”, “La gioia della musica” di tante sciocchezze di questa “Rai flop” che il pubblico sta mostrando di rifiutare.

Non è nemmeno questione di alto e basso: questa Rai che ignora l’alto non sa nemmeno fare il basso, sbaglia i conduttori, incespica nei linguaggi, abborraccia programmi che non si capisce neppure bene di cosa trattino, finge di lanciare facce nuove – di solito sono facce che ricicciano chissà da dove. Non è più la Rai di Augias, questo è evidente. È come uno stabilimento balneare decaduto, senza più luci né gioia, questa Rai. Spesso inutile. Invece il tocco di Augias ha sempre circondato l’utilità (non sapremmo come altro chiamarla) dei suoi programmi di un garbo che stentiamo a intravedere nel servizio pubblico di oggi, quel garbo che ad alcuni parrà forse lezioso e esteriore ma a noi sembra tanto più necessario in un’epoca televisivamente greve come questa, e in ogni caso quando ha parlato di Dickens o di Schubert o del Vangelo Augias lo ha fatto sempre in modo “popolare”, che non vuol dire plebeo, anzi, vuol dire esattamente fare quello che deve fare il servizio pubblico.

La Rai, dopo l’ecatombe di addii, dunque perde un altro grosso calibro a favore della concorrenza (in tutte le direzioni, “democraticamente”, da La7 a Retequattro a Nove), secondo una logica aziendale che a questo punto è davvero un mistero proprio come quelli di “Telefono giallo” – per restare al Nostro – trasmissione ineguagliata di tv-verità. Ci ha condotto per mano attraverso la letteratura, la musica, i delitti, le città, le religioni, per svariati decenni, Corrado Augias, che alla bella età di 88 anni raccoglie il suo sapere e il suo racconto del mondo che continueremo a seguire spingendo un altro tasto del telecomando, e anche questo è un brutto segno del tempo.