Leggo resoconti in cui c’è sempre un interessamento di Tizio o di Caio, una poco decente ricerca del consenso, e disinvoltura e negligenze. Rientra tra i miei auspici, ovviamente, che la politica riesca a costruire rapporti economici, sociali e politici più robusti e di maggiore respiro, che sappia allentare i vincoli con la bassa cucina elettorale o, se volete, con i cacicchi e i capibastoni che impreziosiscono le cronache di questi giorni – cosa che vale tanto per Bari quanto per Torino (l’Italia è una, da nord a sud!) – ma tutto questo è il pezzo che riguarda le responsabilità della politica.

Le responsabilità della giustizia

Quanto invece all’altro pezzo, quello che riguarda le responsabilità del pianeta giustizia? Se io sui giornali non leggo nulla a proposito degli elementi di prova, in grado di trasformare il chiacchiericcio delle intercettazioni in una ipotesi accusatoria solida, che posso presumere in grado di affrontare la prova del dibattimento, a cosa, precisamente, sto assistendo? A uno sputtanamento clamoroso e privo di contraddittorio, mi pare, ma sono garantista e non voglio precipitarmi a rispondere.

L’assenza di prove

Intanto, mi auguro sia chiaro il senso della domanda appena formulata. Non sto certo chiedendo che nelle carte dei pm ci sia già, con titoli di indiscutibile certezza, la condanna, quella che il tribunale dovrà limitarsi a ratificare. Al contrario: non solo vale la presunzione di innocenza, ma dovrebbe valere anche il principio che è il processo il luogo in cui si dibattono le prove. Che quindi propriamente non ci sono, prima del vaglio a cui viene sottoposto il quadro accusatorio. Ma mi domando e domando se la vicenda ulteriore – quella in cui si convoca, oltre all’accusa, la difesa, e un giudice terzo dinanzi al quale si dibatte – interessi davvero qualcuno e conti qualcosa, nelle condotte tenute sin qui e in tutte le fasi preliminari delle indagini. Facciano pure, gli avvocati difensori: il bersaglio è già stato colpito.

L’esempio di Bari

Un solo esempio. A Bari e dintorni pare che i voti si comprino al modico prezzo di cinquanta euro. Tanto modico non è, visto che per arrivare ai ventimila voti di cui si parla bisognerebbe sborsare un milione di euro. Non so se il tariffario preveda una scontistica, ma comunque: questi soldi dove sono accantonati? Ma soprattutto dove sono le migliaia di cittadini – o forse le centinaia, o almeno qualche sporca decina di elettori – che confessino di aver ricevuto l’ignobile promessa? Sui giornali non leggo nulla del genere, eppure di ventimila biglietti da cinquanta in arrivo bisognerà che si vedano non solo le tracce ma pure le lingue da fuori, o no? A parte i numeri, però: c’è qualcuno che ha capito bene, ed è in grado di spiegare, dov’è che la linea del malcostume politico è stata varcata in una direzione penalmente rilevante, la sola che dovrebbe essere presidiata dalla magistratura? Posso sbagliarmi, naturalmente, ma a me sembra che siamo ancora allo stesso punto da trent’anni: in un clima generale di sfiducia e disistima nei confronti della politica alla magistratura non si chiede nulla, se non di fare – non importa come – quel che la politica non è in grado di fare, né la politica riesce a dare di sé e del Paese un racconto diverso da quello che leggiamo sui giornali. Altrimenti non si spiega il singolare paradosso per cui Conte e Schlein rompono fragorosamente sulle primarie in Puglia, si rinfacciano giudizi morali irricevibili per l’uno e per l’altra, mandano all’aria il campo largo, ma nei ragionamenti e nelle dichiarazioni su queste incresciose vicende dicono esattamente le stesse cose, e traggono le stesse conclusioni. Con le quali non si fa un solo passo avanti, e sempre le stesse cose ritornano.