La polemica
Corruzione, nessun leader ci salverà
Qualche giorno fa, con un articolo di Gian Antonio Stella, il Corriere della Sera ci ha spiegato che la corruzione è dappertutto e che per combatterla bisogna che l’Anac (l’Autorità nazionale anticorruzione) sia dotata di «una guida salda», di una personalità «Investita di un pubblico riconoscimento di leadership». Ognuno ha le sue idee, ma si crede che serva semmai l’opposto, e cioè che il lavoro per riordinare la società e contenerne le deviazioni illecite sia organizzato e condotto senza protagonismi rappresentativi, e da parte di funzionari certamente capaci ma, per così dire, senza faccia e senza nome. Non da parte di campioni delle virtù pubbliche, condottieri impancati sulla scena della guerra dell’Italia onesta contro quella marcia.
Perché la celebrazione pomposa, l’assunzione leaderistica, l’investitura, appunto, servono molto poco all’efficacia dell’azione amministrativa e piuttosto assolvono al compito diverso di dare soddisfazione al pur comprensibile desiderio comune di affidarsi a un feticcio liberatore. I cittadini italiani «esausti dalla piaga del malaffare», come il Corriere della Sera descrive la gente che assiste al presunto dilagare della corruzione, sono la materia passiva di questi esperimenti di incoronazione, di queste ritualità officianti, di queste “commedie” con cui lo Stato si rappresenta nell’apologia del priore eroico. Non ne viene mai proprio nulla di buono, e anzi l’effetto è che l’azione dello Stato, con gli errori e gli abusi inevitabilmente implicati in ogni iniziativa del potere pubblico, diventa incensurabile perché si protegge sotto il manto di indiscutibilità garantito dal rango del funzionario santificato.
Un «pubblico riconoscimento di leadership» si fa in favore di chi vuole agire nelle sedi elettive, e lo si fa con il voto o comunque con i meccanismi del potere rappresentativo. Non invece nel caso di questi funzionari e di queste autorità: l’azione dei quali deve svolgersi e affermarsi con la forza impersonale della legge uguale per tutti, non con lo sfoggio di mostrine del vendicatore pubblico. Ed è poi la stessa esigenza, quotidianamente frustrata, a proposito dell’amministrazione della giustizia: col magistrato assunto a “uomo immagine” del proprio ufficio, in una rappresentazione propagandistica ancora una volta ben poco utile sul fronte della effettività amministrativa e semmai perfetta a far credere che c’è chi vigila e interviene sull’immondizia della società. Spazzare i corrotti spazzando i diritti è il prezzo che questa specie di finalismo aguzzino ci chiede di pagare. Ed è un prezzo troppo alto, anche se il conto ce lo presenta il prossimo monarca dell’Italia perbene.
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