Berlusconi? «Molto deciso, un Caimano al cubo, tiene le carte in mano e le vuole dare lui». E il Pd? «Non si capisce, per ora pare che franceschiniani e orlandiani abbiano reagito male al teorema-Draghi. Letta non esce allo scoperto». In compenso lo ha fatto Goffredo Bettini. L’uomo che ha sussurrato all’orecchio della segreteria Zingaretti e che ha teorizzato “o Conte o morte”, ha scritto in un editoriale su Il Foglio che «è il tempo che i partiti riprendono in mano la partita del Quirinale».

In sostanza Draghi resta il nome più forte in campo ma ci può essere anche altro. Anzi, sarebbe l’ora che questo “altro” cominciasse a prendere forma e sostanza. E Draghi, il convitato di pietra di ogni telefonata, chat di whatsapp e quei rari capannelli che s’incrociano alla Camera dove le commissioni stanno vistando la legge di bilancio prima della fiducia (sarà messa stasera per essere votata mercoledì)? Il Presidente del Consiglio si è ritirato nella campagna umbra con moglie, figli e nipoti. A fare “il nonno” appunto. Il 23, il giorno dopo la conferenza stampa di fine anno con la stampa parlamentare, ha fatto pervenire un “chiarimento informale” sulla conferenza stampa in cui ha manifestato seppur in modo felpato il desiderio di salire al Colle chiedendo “unità e rapidità” nell’elezione del presidente della Repubblica e considerando praticamente concluso il suo compito a palazzo Chigi. La maggioranza dei parlamentari si è sentita “con le spalle al muro” e spiazzata da quella che è stata intesa come una promessa di dimissioni se la coalizione di maggioranza dovesse dividersi sulla scelta del Capo dello Stato. E, quindi, non votare lui.

Qualche parlamentare, che sa dove e come intercettare gli spifferi del Quirinale, lascia intendere che lo stesso Mattarella non abbia gradito. Ecco allora il “chiarimento informale”: il passaggio “fondamentale” del Draghi pensiero è “l’unità della maggioranza”. Che, se confermata, potrebbe convincere lo stesso premier a proseguire nella sua mission a palazzo Chigi. Perché si fa presto a dire “Draghi al Colle”. Ma poi, nel caso, chi dopo Draghi a palazzo Chigi? Salvini più volte ha ripetuto che la Lega «non resterà certo al governo col Pd se Draghi dovesse lasciare». E qui si apre la seconda grande questione che “frena” la corsa del premier al Colle: chi è in grado di portare avanti una maggioranza anche Ursula (centrosinistra e Forza Italia e centristi) in un anno di campagna elettorale come sarà il 2022 e nel frattempo gestire i complessi dossier legati al Pnrr?

La nebbia è ancora fitta sul Colle. Di sicuro le parole di Draghi hanno contribuito a smuovere qualche banco. Passato Natale e Santo Stefano, riaperto Montecitorio per il via libera finale alla legge di bilancio, messa la necessaria distanza tra le parole e le loro possibili conseguenze, possiamo dire che oggi sono quattro i nomi per il Colle: Draghi, Mattarella, Berlusconi e Giuliano Amato. Non sono assolutamente in ordine di probabilità. Il più convinto è certamente Silvio Berlusconi, definito “il Caimano al cubo”. Quando si sono visti a Villa Grande, residenza romana del Cavaliere, i leader del centro destra (Salvini, Meloni, Toti recuperato nella coalizione dopo l’iniziale ostracismo, Lupi e Cesa) lo hanno sentito mettere in fila numeri da brivido: Berlusconi non solo è convinto di avere già in cassaforte 480 voti del centrodestra ma si sente di scommettere anche su un centinaio in arrivo dal centrosinistra. Nessun franco tiratore, nessun tradimento. Come se avesse in tasca una sorta di verifica del voto espresso nell’urna presidenziale.

Insomma, dalla quarta votazione potrebbe gustare il sapore della più alta carica dello Stato. Fin qui il Piano A. A cui gli invitati al vertice hanno tutti annuito. Salvo poi porsi qualche domanda una volta usciti. Se però fallisse il Piano A, il Cavaliere ha già pronto il Piano B: «Saremo noi (cioè io, ndr) una volta dimostrata la nostra capacità di fuoco, a mettere a disposizione i voti per eleggere il tredicesimo Presidente della Repubblica italiana». Finalmente. Non succede dal 1999, quando salì Ciampi. Berlusconi potrebbe sciogliere le riserve (ancora non è ufficialmente candidato) ai primi di gennaio, dopo il 4, quando il presidente della Camera Roberto Fico comunicherà la data di convocazione del Parlamento in seduta comune. La sintesi del Piano B potrebbe chiamarsi Giuliano Amato.

Nel frattempo, per tenere in piedi il Piano A e anche il B senza finire soffocati, Salvini si sta dando molto da fare nel ruolo di “mediatore” del tavolo presidenziale. Parla spesso con Draghi, ha contattato tutti i leader dei vari gruppi parlamentari (che sono trenta!). Cerca di non far toccare palla a Giorgia Meloni – la rivalità tra i due è sempre alta – che però potrebbe tramare in privato con Enrico Letta. Così come Salvini non fa mistero di confrontarsi spesso con Matteo Renzi, l’altro jolly di questa partita. Una foto scattata alle due e mezzo del mattino, li ritrae a parlottare nell’emiciclo del Senato in attesa del voto di fiducia sulla manovra. Una cosa è certa: se sarà Draghi, questa maggioranza va costruita ed allargata il più possibile. Perché adesso come adesso non c’è. Lo stesso Salvini non fa mistero di preferire Draghi a palazzo Chigi.

Pare che il ministro Franceschini confrontandosi con deputati e senatori dem abbia auspicato che il premier resti a fare il premier, una posizione che fa breccia facilmente tra i tanti che non vogliono chiudere prima la legislatura (cosa più che probabile con Draghi al Colle) e che temono di non tornare più in Parlamento. Anche la parte sinistra del Pd e Leu sarebbe della stessa idea. Ieri mattina è arrivata la benedizione di Bettini: deve tornare la politica e non è detto che Draghi, seppure il migliore, la rappresenti. Al Nazareno invece, la segreteria Letta farebbe girare il seguente monito: «Mi raccomando, tutti tranne Berlusconi». In realtà, il segretario coltiva ancora la speranza che alla fine Mattarella possa tornare sui sui passi: si voterà nella seconda metà di gennaio, il paese sarà nel pieno della quarta ondata, come è possibile cambiare il ticket Mattarella-Draghi che ci ha guidati finora?

Una cosa è certa, sottolineano dalle parti di Base Riformista: «Draghi è il migliore, la nostra garanzia, e nulla sarà fatto per ostacolarlo. Ma non c’è dubbio che preferiremmo che restasse alla guida del governo. Così come non c’è dubbio che il Pd da solo non può giocare questa partita». Ecco, sul Colle non c’è più il nebbione. Ma la nebbia è ancora fitta. Si aspettano indizi ulteriori dal discorso di fine anno del Capo dello Stato. Sarà l’ultimo?

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.