Il caso degli audio del Cav
Cosa accadde con la commissione Mitrokhin: quando ruppi con Berlusconi per l’amicizia con Putin

Di questo passo in Italia non si farà alcun governo e in mancanza di altre maggioranze andremo a votare a gennaio. Intanto, le dichiarazioni di Berlusconi che hanno fatto trasalire molti e con grande risonanza in Europa e nel mondo, disegnano un quadro politico e non delle esuberanze inopportune. Berlusconi irrompe sulla scena mediatica parlando dell’amico recuperato Putin e poi subito dopo dichiarandosi pubblico nemico del presidente ucraino Zelensky in un momento particolare e drammatico della guerra in Ucraina, e cioè quando si accredita la voce specialmente presso i servizi di intelligence inglese, che Putin starebbe seriamente pensando ad una esplosione atomica dimostrativa nelle acque del Mare nero usando un ordigno a bassa intensità fatto brillare allo scopo di mettere il fronte occidentale di fronte all’alternativa di una guerra totale.
Ieri, Berlusconi ha messo in onda il secondo tempo delle sue opinioni spiegando la sua assoluta disistima per il presidente ucraino Zelensky, del tutto colpevole di aver provocato le giuste reazioni di Putin, in difesa dei russofoni del Donbass che si dicevano perseguitati. Naturalmente queste parole oltre ad aver fatto un grandissimo clamore sull’opinione pubblica sia italiana che europea, determinano un evento politico che è sotto gli occhi di tutti: uno dei tre componenti dell’alleanza è schierato in politica estera dalla parte opposta a quella maggioritaria di una Meloni atlantica, e non in un momento di stasi della guerra, ma quando si profila la possibilità di una escalation militare.
Io ho un’esperienza personale e unica, da quando nel 2002 proprio mentre il Parlamento approvava la legge che istituiva la Commissione Mitrokhin di cui sarei stato eletto presidente, il capo del governo Silvio Berlusconi inaugurò l’eccezionale rapporto con il presidente Vladimir Putin, ex tenente colonnello del KGB di stanza a Dresda nell’allora Repubblica democratica tedesca. Fu l’anno del celebrato incontro di Pratica di Mare con Berlusconi, come il Dio romano Giano, a stringere le mani del presidente americano George Bush e di quello russo Putin dichiarando chiusa la guerra fredda. Ciò che forse Berlusconi ignorava, o forse lo seppe quando ormai non c’era nulla da fare, è che Putin odiava la commissione Mitrokhin perché non tollerava che qualcuno all’estero, per non dire in patria, investigasse su ciò che la polizia segreta sovietica aveva combinato sia all’estero che in Russia.
Da allora cominciò una sofferenza pesantissima nella commissione perché arrivavano continui messaggi sotto forma di articoli dei giornali russi riciclati su insospettabili giornali italiani in cui una commissione del Parlamento della Repubblica veniva dileggiata, additata al disprezzo insieme al suo presidente e ai più attivi dei quaranta commissari che rappresentavano tutti i partiti in Parlamento. Putin era furioso e mandava messaggi rabbiosi in tutti i modi possibili perseguitando alcuni amici russi fuggiti a Londra che si preoccupavano delle sorti della nostra commissione. Il più importante di tutti fu Alexander Litvinenko anche lui ex tenente colonnello del KGB e per un breve periodo di tempo collega d’ufficio del suo parigrado Putin. Litvinenko che fu assassinato orrendamente con un veleno radioattivo, a quei tempi, non rintracciabile.
“Vladimir è un uomo dolcissimo, caro Paolo”, mi disse Berlusconi con un sorriso luminoso quando io gli chiesi aiuto per capire che cosa si muovesse dietro quelle quinte e quelle matrioske. E aggiunse: “Guarda, se qualcuno mi venisse a dire che tu, Paolo, hai assassinato o potresti assassinare qualcuno io proverei la stessa incredulità se fosse detto a proposito di Putin.” Ciò accadeva nel 2006 quando la commissione parlamentare da me presieduta concluse i suoi lavori nei tempi prefissati dalla legge. Qualche anno dopo il governo inglese ordinò a un procuratore speciale della regina, Sir Robert Owen, di condurre un’istruttoria sulla morte di Litvinenko che terminò con una sentenza di responsabilità diretta di Vladimir Putin.
Fu dopo l’invasione della Georgia nel 2008 che io completamente sopraffatto dall’indignazione per la generale acquiescenza di fronte alla prima invasione di un paese europeo da parte di un altro paese europeo capii troppo tardi di aver sbagliato strada. Anche perché Berlusconi, che più tardi rivelerà di aver fermato l’amico un po’ troppo disinvolto nel lanciare carri armati e fanteria, durante una riunione plenaria dei gruppi di maggioranza, rivelò di aver ricevuto una telefonata in cui Putin si riprometteva di “inchiodare per le palle su un albero il presidente georgiano Shakasvilij”. E fu così che io interruppi i miei rapporti con il presidente del consiglio tirandomi dietro qualche anno di insulti. Nel frattempo, ero diventato vicesegretario del partito liberale italiano e ricevetti in quel partito la visita del presidente georgiano che era venuto a Roma per ringraziarmi.
Poi passò molta acqua sotto i ponti e anche la mia amicizia personale con Silvio Berlusconi sì rigenerò con molto affetto anche perché io non cessai di combattere la stessa battaglia liberale in cui era compresa la mia solidarietà per una persecuzione giudiziaria mai conosciuta in una democrazia occidentale e che si concluse con la cacciata di Berlusconi dal Parlamento. Un Parlamento che anziché difendere un suo membro come nel codice delle democrazie parlamentari, consegnò il senatore Berlusconi agli esecutori di giustizia. Di Putin con Berlusconi non ho mai più parlato, ma certo che in questi ultimi due giorni sono avvenuti dei fatti nuovi di cui sfugge spesso la sostanza, sommersa dagli aspetti scenici tra cui l’uso generoso dell’aggettivo “dolce” e del suo superlativo “dolcissimo”, riemersi con il riemergere dichiarato dell’affetto di Silvio.
Ma ieri mattina una delle prime notizie che ho letto è stata quella dell’improvvisa e non preannunciata visita del ministro della Difesa del Regno unito Ben Wallace a Washington per discutere urgentemente con gli americani la notizia, che si era diffusa nella notte precedente, secondo cui Vladimir Putin starebbe valutando di far esplodere un ordigno nucleare nelle acque del Mar Nero, un ordigno “a basso rendimento”. Inoltre, il ministro della Difesa di Mosca avrebbe annunciato di lì a poco l’istituzione della legge marziale nelle quattro province ucraine dichiarate annesse alla Federazione russa, giustificando tale decisione come una dolorosa necessità, amara e indispensabile.
L’Occidente, intendendo per esso Unione europea, Regno Unito e Stati Uniti, hanno da tempo notificato anche per via diplomatica a Mosca che qualsiasi uso di armi nucleari nella guerra in Ucraina avrebbe messo in moto una reazione militare di fortissimo impatto dissuasivo ovvero, detto in parole semplici, una guerra. Qui siamo e non è ancora chiaro se qui saremo ancora domani a quest’ora, benché è ciò che speriamo tutti per quanto le nostre vite possano essere deludenti o tormentate. Come spiegava un plebeo romanesco in un sonetto del Gioachino Belli “stamo tutti attaccati a st’ammazzata vita”, dove curiosamente quella “ammazzata” sta per amatissima.
Sono otto mesi che viviamo sull’orlo dell’abisso e da ieri quell’abisso si è fatto più vicino, almeno come minaccia che provoca una catena di conseguenze sia politiche che militari capaci di mettere il governo della Repubblica di nuovo di fronte alla scelta: o di qua o di là. Il Cavaliere ha giocato di sorpresa ed ha reso pubblico il fatto di essere in contatto con Putin e questa ripresa si è tradotta immediatamente, immaginiamo, in dichiarazioni, certamente non sfuggite di labbra, dall’immediato effetto politico e militare.
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