Il partido justicialista argentino
Cosa è il peronismo: il populismo argentino tra socialismo e regime

Da anni l’accusa di populismo rimbalza da una sponda all’altra degli schieramenti parlamentari e tra i politici alzi la mano chi, una volta o l’altra, non se l’è sentita scagliare contro. Eppure in questa orgia di spettri populisti nessuno cita mai il solo compiuto esempio di populismo moderno, il Partido Justicialista fondato nel 1947 in Argentina da Juan Domingo Peròn, allora al potere da un anno. Giustizialista, in quel caso, aveva però un senso diverso da quello che ha poi acquisito: veniva dalla fusione della parola “Giustizia” con “Socialismo”.
Chissà com’è che in un dibattito farcito di esempi storici quasi sempre adoperati a sproposito, dalle SA naziste all’italianissimo Partito dell’Uomo Qualunque, è sfuggito proprio quello più attagliato. Ignoranza o distrazione in molti casi. Ma in altri pesa invece l’imbarazzo creato da una realtà che non si presta alla ridicolizzazione o alla riduzione a epiteto. Il populismo di Peròn è stato una cosa tutt’altro che risibile, sfuggente a ogni catalogazione precisa ma tanto pervasivo da giustificare una celebre risposta del Caudillo a un giornalista. Peròn aveva appena affermato che «gli argentini sono al 30% socialisti, al 20% conservatori, un altro 30% è di radicali…». Il giornalista lo interruppe: «E i peronisti?». Risposta secca: «Ma no, peronisti sono tutti quanti». Lo erano allora e lo sono ancora oggi. Divisi in correnti di destra e di sinistra l’un contro l’altra armate. Ma tutti peronisti e tutti devoti al culto di Santa Evita, Eva Duarte, la seconda moglie del presidente, morta di cancro a soli 33 anni nel 1952.
Nato nel 1895, Peròn era di discendenza mista ma certamente con una parte di sangue italiano. Lui stesso affermava di provenire “dal Regno di Sardegna” ed è appurato che i nonni vivessero a Genova. L’impatto più significativo con l’Italia non risale però all’albero genealogico ma agli incarichi che l’allora giovane maggiore, dopo essere stato per tre anni addetto militare in Cile, ricoprì in Italia dal 1939 al 1941. La conoscenza diretta del regime fascista influenzò a fondo la sua ideologia, soprattutto perché la interpretò come un tentativo inedito di coniugare capitalismo e socialismo in vista di una compiuta socialdemocrazia. Due anni dopo il ritorno dall’Italia il colonnello Peròn fu uno dei principali artefici del golpe del Grupo de Oficiales Unidos (Gou) che rovesciò il governo Castillo ponendo così fine a una fase della storia argentina nota come “il decennio infame” e l’amena definizione dice tutto. L’economia era in mano ai grandi allevatori e latifondisti e al capitalismo degli Usa e dell’Uk, che controllavano il 50% delle imprese argentine. Nel decennio infame i governi, sia in divisa che come quello di Castillo in abiti civili, rappresentavano strettamente questi interessi ignorando quelli dei piccoli e medi imprenditori e soprattutto di un proletariato urbano che nel corso di un decennio si era moltiplicato, modificando profondamente l’assetto sociale argentino. Il sindacato Cgt era cresciuto sempre più, in proporzione allo sviluppo dell’industria e del proletariato urbano, ma, dopo l’invasione tedesca dell’Urss del 1941, si era diviso in Cgt e Cgt2, vicina alla destra e al fascismo.
Il colonnello entrò nel primo governo dopo il golpe come capo della segreteria del ministero della Guerra ma già l’anno dopo, spinto dalla potente Cgt2 era ministro del Lavoro, poi anche della Guerra nonché vicepresidente del nuovo governo guidato dal generale Edelmiro Farrell. Nel frattempo aveva conosciuto , nel gennaio 1944, Eva Duarte, un’attrice di origine poverissima, figlia illegittima e per questo discriminata nell’infanzia, che aveva appena raggiunto la celebrità come interprete di telenovelas alla radio. Un mese dopo il primo incontro Peròn, vedovo, si trasferì a casa sua. La simpatia di Peròn e del presidente Farrell per il fascismo è indiscutibile. Le leggi varate dal nuovo ministro del Lavoro però erano altrettanto indiscutibilmente molto favorevoli ai lavoratori e sancivano conquiste per le quali il sindacato si batteva invano da un decennio: salario minimo garantito, giornata lavorativa di 8 ore, indennità per incidenti sul lavoro e malattie professionali, tredicesima, ferie retribuite, riconoscimento dei sindacati. Peròn, poi, incarnava una spinta che era forte a destra come a sinistra: l’ostilità verso il capitalismo anglo-americano e l’obiettivo di affrancare l’Argentina dalla condizione semicoloniale in cui era costretta. Su questa base si sviluppò, negli anni dell’esilio, la vicinanza con l’argentino Che Guevara, che nella dedica della copia del suo La guerra di guerriglia regalata all’ex presidente si definì “un ex oppositore evoluto”.
Gli Usa e il Regno unito fomentarono un nuovo golpe, stavolta per spodestare Farrell e soprattutto Peròn. Il 9 ottobre 1945 il vicepresidente fu costretto alle dimissioni. La radio stracciò tutti i contratti di Evita. Il 12 Peròn fu arrestato. L’intera Cgt proclamò uno sciopero generale per il 18 ottobre ma i lavoratori si mossero da soli il giorno prima occupando Plaza de Mayo e reclamando la liberazione di Peròn. Il sole martellava, moltissimi si tolsero la camicia restando a torso nudo. Da quel momento gli argentini delle fasce povere che del peronismo erano la base furono “los descamisados”,gli scamiciati. La sera stessa Peròn fu scarcerato, i golpisti estromessi dal governo, fissata per il febbraio successivo la data delle elezioni presidenziali. Appena libero Peròn sposò Evita e i due affrontarono insieme la campagna elettorale girando il Paese su un treno ribattezzato “El Descamisado”. Peròn fu eletto presidente con il 56% dei voti.
Juan Domingo Peròn sarebbe rimasto al potere fino al 1955,dopo aver rivinto le elezioni stavolta con il 62% dei voti, nel 1951. Proclamava di volere una terza via tra capitalismo e comunismo. Il suo regime aveva aspetti vicini al fascismo, come l’arresto di molti dirigenti marxisti e sindacalisti oppure l’ospitalità offerta ai gerarchi nazisti sfuggiti alla cattura. Ma ne vantava altri vicini invece alla sinistra, soprattutto come la politica redistributiva a favore dei lavoratori e le numerose nazionalizzazioni. La Costituzione che varò nel 1949 era ispirata sia alla Costituzione italiana approvata l’anno prima che alla Carta del Carnaro scritta da Alceste De Ambris e adottata nella Fiume dannunziana, probabilmente quanto di più socialmente evoluto ci sia mai stato nella storia italiana. Sanciva il diritto di sciopero, alla salute, all’istruzione, riprendeva dalla Carta italiana la funzione sociale dell’impresa, limitava la concorrenza col monopolio statale sul commercio estero. La popolarità di Peròn tra i poveri e i lavoratori era immensa, in buona parte grazie a Evita, che nel 1949 aveva fondato il Partito peronista femminile. Il presidente aveva lasciato a lei il compito di mantenere il rapporto col popolo e con i lavoratori, oltre che di illustrare la sua rivoluzione in un viaggio diplomatico in tutta l’Europa.
Lei stessa si definiva “il ponte che collega Peròn con il popolo”. Era animata da una sincera e spontanea, anche se certamente viscerale e ingenua, passione per la giustizia e in difesa dei deboli. Fu lei a imporre la legge che garantiva piena parità di diritti tra uomini e donne. La Fondazione che creò nel 1948 offriva, approfittando anche di una congiuntura economica estremamente positiva, sostegni economici a chiunque ne avesse bisogno, borse di studio e un massiccio programma di edilizia popolare, costruzione di nuove scuole con annesse mense e attività sportive per i bambini poveri, costruzione di ospedali, 13 dei quali ancora operativi, laboratori clinici e case di cura per anziani. Il decalogo dei diritti degli anziani da lei stilato sarebbe considerato un modello ovunque ancora oggi. Onnipresente, Evita fu presto circondata da una sorta di culto destinato a crescere dopo la prematura scomparsa. Peron fu rovesciato da un colpo di Stato nel 1955. La morte di Evita aveva eliminato uno dei suoi principali puntelli, la rottura con la Chiesa cattolica lo aveva ulteriormente indebolito. Sia il generale che Evita erano cattolici. Angelo Roncalli, futuro Giovanni XXIII, aveva scritto alla moglie del presidente: «Signora prosegua nella sua lotta per i poveri ma sappia che quando questa lotta si comincia sul serio, termina sulla croce». Peròn aveva reso il cattolicesimo religione di Stato ma il tentativo di introdurre il divorzio e le ingerenze dello Stato nell’educazione portarono a una crisi sfociata nella scomunica, poi revocata da Paolo VI. Il Vaticano si associò alle pressioni americane e inglesi per destituire con le armi il detestato presidente.
Rovesciato dai militari Peròn rimase in esilio nella Spagna franchista fino al 1972. La salma di Evita, mummificata subito dopo il decesso, fu spostata in segreto da un posto all’altro. I golpisti sapevano che se l’avessero distrutta la rivolta popolare sarebbe stata certa ma anche che, se avessero permesso il pellegrinaggio, la tomba sarebbe diventata il centro di un culto ribelle. Alla fine fu portata in Europa e sepolta sotto falso nome a Milano. Nel 1971 la salma fu restituita a Peròn: oggi riposa in una sorta di cripta “a prova di attacco nucleare”. Nel 1973 il Caudillo fu rieletto presidente ma sopravvisse solo pochi mesi e la terza moglie Isabel, che gli succedette, fu rovesciata dal golpe di Videla due anni dopo. Era un Peròn molto diverso da quello di vent’anni prima, ormai completamente spostato a destra, tornato presidente ma in realtà sopravvissuto a se stesso. Il movimento peronista era tanto diviso che il giorno del suo rientro in Argentina si risolse in una battaglia tra peronisti di sinistra e di destra che lasciò sul terreno 13 morti. Erano peronisti i guerriglieri di estrema sinistra Montoneros, erano peroniste le organizzazioni di estrema destra ed erano peronisti anche i centristi cattolici a cui andavano le simpatie del peronista Jorge Bergoglio. Ma il peronismo è sopravvissuto al suo fondatore ed è ancora determinante, nelle sue varie versioni, nella politica argentina. Sono stati peronisti, di aree opposte i presidenti Menem che ha guidato il Paese dal 1989 al 1999, il suo rivale diretto Néstor Kirchner (2003-2007) e poi la sua vedova Christine Kirchner, presidente dal 2007 al 2015. È peronista l’attuale presidente dell’Argentina Alberto Fernandez, eletto tre anni fa.
Quando Eva Peròn, nel suo tour europeo, arrivò a Roma, alla fine degli anni 40, il Pci organizzò manifestazioni di protesta contro il “dittatore fascista”. Nel ‘68 era ancora considerato tale, anche se Lotta continua definì il peronismo “uno dei fenomeni più incompresi del secolo”. L’estrema destra, in particolare Terza posizione, riconobbe il generale argentino come un punto di riferimento eminente. E tuttavia, nonostante l’ammirazione di Peròn per Mussolini, ridurre il peronismo a una variante del fascismo è impossibile. Erano assenti la liturgia e la retorica militarista dei regimi fascisti. Era del tutto assente il fondamentale tradizionalismo: nel 1949 la quota del 33% di incarichi riservato alle donne del Partito peronista femminile sarebbe stata inimmaginabile anche nelle democrazie più evolute. Soprattutto, a differenza di tutte le varianti del fascismo, il peronismo non fece blocco con i poteri consolidati del latifondo e del capitale ma, sia pure nella versione della collaborazione di classe, rimase sempre sbilanciato a favore dei lavoratori. Lo stesso “culto della personalità”, concentrato soprattutto su “Santa Evita”, era fondamentalmente diverso da quelli dei totalitarismi del XX secolo, più simile a un culto popolare religioso non troppo distante da Padre Pio, col quale del resto Evita manteneva stabili rapporti epistolari. Certamente sincero era infine il suo terzomondismo, la determinazione nel sottrarre l’Argentina alla presa del controllo neocoloniale Usa.
Peròn non era “né di destra né di sinistra”. Era sia di destra, per alcuni versi, che di sinistra per altri. La formula della “terza via”, di solito ipocrita e vuota, nel suo caso si trasformò in un movimento reale, sopravvissuto in qualche misura al suo stesso fondatore, una realtà determinante nella storia dell’Argentina. Forse è proprio per questo che, nelle varie crociate contro il populismo, il solo movimento compiutamente ma anche seriamente populista, tale dunque da dover essere preso sul serio, viene puntualmente dimenticato. Anche se pochi politici hanno prefigurato l’attualità come l’argentino. In Trump come in Putin, in Macron come in Marine Le Pen in Conte come in Salvini, Giorgia Meloni, Salvini, Calenda o Renzi, c’è qualcosa, e a volte c’è molto, di Juan Domingo Peròn.
© Riproduzione riservata