Ritardi e dietrofront
Cosa è l’esercizio provvisorio e cosa prevede: governo in affanno sulla manovra
Il Consiglio Affari energia, riunito a Bruxelles, ha trovato un accordo sul tetto al prezzo del gas. Il price cap sarà fissato a 180 euro al megawattora ed entrerà in vigore dal 15 febbraio. Una boccata d’ossigeno per famiglie e imprese che guardano preoccupate ai ritardi e ai litigi di casa nostra, dove la manovra finanziaria, a pochi giorni dall’ultimatum dell’esercizio provvisorio, presenta ancora troppe incognite. Giorgia Meloni rassicura: “Non ci sarà esercizio provvisorio, chiuderemo nei tempi”. Che però stanno per scadere.
La data limite è ormai prossima. Mai nella storia il Titanic del bilancio pubblico aveva sfiorato così da vicino lo sperone dell’affondamento. Il governo è entrato in carica in autunno, sì. “Ma avevano detto di essere pronti, e qui di prontezza ne vedo poca e niente”, ironizza Enrico Morando. L’economista del Pd è stato viceministro al Mef per quattro anni, nei governi Renzi e Gentiloni. “E mai avevamo visto una situazione del genere, che tradisce una imperizia clamorosa, con un atteggiamento rapsodico sull’eredità di Draghi che da un lato si stigmatizza e dall’altro si cerca di fare proprio”. Flat tax, pensioni minime, reddito di cittadinanza frullano in una centrifuga di promesse e ricatti, dentro e fuori la maggioranza. La coperta si è dimostrata corta, e tra gli alleati è scoppiata una lite furibonda a colpi di emendamenti, raggruppati ieri in cinque maxiemendamenti. Con il sottotesto della fiducia: giunti in prossimità degli scogli, è il timore delle opposizioni, si proverà a far passare la manovra finanziaria a colpi di fiducia. “Se si pensa, presentati i 5 maxiemendamenti, di fare qualche minuto di intrattenimento, di votarli di corsa, di venire in Aula e mettere la fiducia – dice il deputato di Iv-Azione, Matteo Richetti – sappia che troverà qualcuno che difende le istituzioni della Repubblica fino alla fine”.
Il clima a Montecitorio è esacerbato. La mattinata è trascorsa tra schermaglie e ritardi che hanno reso impraticabile il terreno del confronto in commissione bilancio. Pd, M5S e Terzo polo hanno chiesto l’intervento del presidente della Camera, Lorenzo Fontana. L’andamento dei lavori congiunti sarebbe rallentato dal presidente della V commissione, il senatore Giuseppe Mangialavori, più fedele al suo cognome che all’esigenza di consegnare la legge di bilancio nei prossimi giorni. La verità è che un testo ancora non c’è e si tratta per trovare una scorciatoia possibile. Le opposizioni fremono, accusando i relatori di maggioranza di stato confusionale. Il capogruppo del M5S alla Camera, Francesco Silvestri, è sferzante: “Arrivano pezzi di maxiemendamenti che riscrivono la manovra. L’ultimo e arrivato alle tre del mattino. Non possiamo programmare quando tutto arriverà in aula, non lo sa nessuno”. Nel taglia e cuci sempre più disperato, improvvisato, raffazzonato si legge l’assenza di una strategia generale.
Viene soppressa la norma che modifica la disciplina sanzionatoria sull’uso del Pos, innestando una prima vistosa retromarcia dopo due mesi di polemiche. Appare in scena un adeguamento delle pensioni minime, le cui cifre ballano. Per gli ultra 75enni la nuova minima sale a 600 euro, “ma solo per il 2023”. Sul reddito di cittadinanza le mensilità per gli occupabili passano da otto a sette, per recuperare una manciata di miliardi. Balena una modifica di 18app, sulla cui cancellazione il sottosegretario al Mef Federico Freni, frena: “Si andrà a una rimodulazione, ne discuterà il Parlamento”. E compare un aggiustamento di rotta sulle accise per il tabacco, dietro al quale si legge in controluce lo scontro tra le lobbies e i loro interlocutori politici del centrodestra.
In particolare per un pacchetto di prezzo medio (circa 5 euro) l’aumento previsto inizialmente di 20 centesimi scende a circa 10-12 centesimi. Il mancato gettito, di circa 48 milioni, viene invece coperto aumentando il tabacco trinciato: per le confezioni più diffuse rincaro sarà di circa 40 centesimi.
Compaiono poi diversivi che servono più a catturare la scena che a cambiarla. Il FUS diventerà Fondo Nazionale Spettacolo e nelle more dell’illusionismo nominale potrebbe sparire l’assegno della continuità. Francesco Verducci del Pd è sulle barricate: “Sarebbe gravissimo. Significherebbe affossare uno strumento indispensabile di welfare universale”. Alle strette sulla materia incandescente delle coperture, il governo usa le armi di distrazione di massa. E pensa di cancellare lo Spid, l’identità digitale che ha semplificato il rapporto con la burocrazia negli ultimi anni, ed è diventata la chiave d’accesso per i servizi di welfare, dall’Inps alle Asl, dalla Posta a scuole e università. Per difenderla, ieri sono tornati insieme per un giorno Matteo Renzi e Marianna Madia, allora premier e ministra della Pa che vararono la misura. Il viceministro alle Imprese e Made in Italy, Valentino Valentini, Forza Italia, rivendica il ruolo degli azzurri. “Il presidente Berlusconi intende realizzare gli impegni in un’ottica di legislatura. A partire dallo sgravio contributivo per chi assume i giovani sotto i 35 anni che dovrebbe passare da 6.000 ad 8.000 euro – fornendo alle aziende le condizioni per l’assunzione a tempo indeterminato per coloro che usciranno dal RdC – e l’estensione della presentazione delle Cilas per il superbonus 110 per cento al 31 dicembre 2022”.
L’impressione è che invece Lega e Fdi non avessero chiaro il quadro dei conti pubblici. Anche dalle parti di Confindustria la bocciatura arriva mentre gli emendamenti sono ancora per aria. Alessandro Spada, presidente di Assolombarda, è duro: “Ci saremmo aspettati invece più coraggio sul tema del lavoro, che il taglio al cuneo contributivo fosse stato più deciso rispetto a quello che c’è stato”. E’ ancora di Enrico Morando l’appello a fare presto: “Qui stiamo rischiando tutto. Anche il Pnrr, che senza alcune riforme da finanziare non si può più prendere. E il Mes sanitario, con una dotazione cui nessun uomo politico dotato di comune buon senso penserebbe di rinunciare”.
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