Sta diventando la Gestapo americana, gridò il Presidente Henry Truman in una riunione nell’Oval Office di cui fu pubblicata la registrazione. L’oggetto dello sdegno del successore di Roosevelt era il Federal Bureau of Investigation, l’Fbi, l’unica polizia centrale americana autorizzata ad avocare indagini criminali in ciascuno dei cinquanta Stati dell’Unione. “Hoover sta trasformando l’FBI in una polizia segreta capace di colpire chiunque e io non voglio che l’America abbia una Gestapo”.
La Gestapo – Geheime Staatpolizei – era la polizia hitleriana del Reich nazista. J. Edgard Hovver era il potentissimo capo dell’FBI che diresse per quasi quasi mezzo secolo dal 1924 al 1972 (anno della sua morte) durante i quali negli Stati Uniti si alternarono ben otto presidenti, quattro repubblicani e quattro democratici.
Oggi l’FBI è tornata alla ribalta per la straordinaria irruzione nella casa privata dell’ex Presidente Donald Trump, cosa mai accaduta prima nella storia, anche perché i Presidenti, anche se decaduti dal mandato, sono considerati comunque come padri della patria.
Di qui la domanda: è l’FBI tornato ad essere una polizia segreta? Henry Truman e tutti gli storici e politici quando parlavano di fatti e misfatti del FBI si riferivano ovviamente ad Edgard Hoover su cui esiste una sterminata letteratura di libri, film e serie televisive.
Hoover, che nacque e visse sempre a Washington, fu il creatore di un organismo poliziesco auto-referente ma in grado di interferire e mettere in scacco le regole della democrazia. Per questo Hoover è stato paragonato – con esagerazione propagandistica – al capo della polizia segreta di Stalin, Laurenti Beria.
Hoover non fu certamente il Beria americano, ma tendeva verso quel modello e il presente Truman ne era indignato ma non riusciva a cacciarlo. Hoover è morto ormai da mezzo secolo e l’istituzione FBI è stata radicalmente riformata, ma resta un elemento non chiarito: da chi e secondo quali procedure prende ordini l’FBI? Dal Presidente? Si direbbe di no, perché il capo del FBI si riserva il diritto di metterlo sotto inchiesta. Dal General Attorney? Per ora non risponde. Da chi altro e perché? Le ombre del passato ritornano.
L’ex Presidente Donald Trump, alla vigilia delle elezioni di mezzo termine che si terranno a novembre, potrebbe tornare alla conquista di White House oggi abitata da un signore che si confonde, inciampa. Di qui il terrore in campo democratico che la figura di Joe Biden sia talmente fragile da permettere ai repubblicani trumpisti (ce ne sono anche non trumpisti) di fare cappotto alla Camera e al Senato prendendo in pugno la maggioranza del parlamento. E, cosa più importante, “The Donald” – come lo chiamava sua moglie – si sentirebbe incoraggiato a mettere ufficialmente sul piatto la propria candidatura di ex Presidente che ritorna. Nella storia degli Stati Uniti è successo una sola volta che un presidente dopo aver perso le elezioni per la conferma sia tornato in pista quattro anni dopo e abbia vinto: 1893, Grover Cleveland, democratico. Avvenimento rarissimo, ma è rarissima anche la situazione di oggi: l’Unione è in una crisi che sfiora i limiti della guerra civile da ben prima che Trump comparisse all’orizzonte.
Ora l’uomo è convocato da tutti i procuratori, si è avvalso del quinto emendamento a New York, ma resta il fatto che l’FBI ha agito in un modo che sembra appartenere allo stile totalitario e ribelle del tremendo Edgar Hoover.
Quanto rientra l’Fbi nei canoni della democrazia? Domanda che l’America si è posta da oltre mezzo secolo, ma che riaffiora quando questa polizia interstatale totalmente indipendente agisce indipendentemente, come se perseguisse suoi piani politici. Era accaduto proprio durante la presidenza Trump che l’FBI si ponesse in conflitto con la Casa Bianca e accade di nuovo ora quando – tre notti fa – un distaccamento di “suit” (vestiti grigi in due pezzi e cravatta) piomba nella residenza privata dell’ultimo presidente uscito di scena e gli apre la cassaforte privata con la fiamma ossidrica mentre carica sui furgoni oggetti e scatole di documenti.
Abbiamo ricordato ieri i motivi per cui Trump è da tempo sotto schiaffo: oltre ad essere odioso, cattivo, arrogante e a portare una zazzera molto particolare, Trump si è confermato anche dopo l’uscita dalla White House un autentico leader di una autentica ideologia che può piacere o non piacere, ma è la stessa che gli ha già permesso di vincere un primo round. L’ideologia non è nuova, ma Trump, che è un uomo d’affari figlio d’un uomo d’affari, ha modernizzato e trasformato politica ed economia: un’America che pensa ai fatti suoi, commercia con tutti, sta benissimo dove sta: fra due oceani e due nazioni amiche, ricca e protetta dalla forza armata più potente del mondo secondo l’antico adagio. Se vuoi la pace preparati come se dovessi vincere la guerra. E, di conseguenza, al diavolo l’Europa parassitaria, semmai facciamo affari ad Est ma non spenderemo più un dollaro per difendere dei parassiti come la Germania.
Quindi, Trump è tornato ad essere la minaccia di un ordine nazionale e mondiale diametralmente opposto a quello democratico che da Kennedy a Obama, passando per Clinton e lo stesso Biden, è invece interventista e vorrebbe una politica di “contenimento” della Russia preda degli stessi fantasmi imperiali e imperialisti.
Di qui la domanda: l’FBI fa parte del grande gioco? Ha una sua politica poliziesca che sfugge agli strumenti costituzionali di controllo? Che cosa cercava esattamente a “Mar A Lago” e quale sarebbe l’ipotesi di reato? Furto di porcellane? Trasloco di carte segretissime in cui Trump era il protagonista? Non si sa. Sui giornali e nei commenti televisivi affiora di nuovo il sospetto che la grande polizia federale, che di fatto è una polizia segreta, abbia mantenuto e sviluppato la sua attività di intervento sulla politica come già fece non solo ai tempi di Nixon, ma anche di Truman, di Kennedy, di Johnson e in molti casi rimasti aperti o chiusi troppo rapidamente.
Hoover aveva scritto le regole: il Bureau avrebbe spiato tutti senza dover spiegazioni, avrebbe tentato di indurre al suicidio Martin Luther King usando scandali sessuali prefabbricati, dopo aver licenziato tutte le donne, e ridotto il numero dei neri, ma prima di tutto creando una magnifica biblioteca di dossier su tutti i politici a cominciare dai presidenti, per poter ricattare chiunque.
Ma Hoover non fu il fondatore del FBI come molti credono. A fiondarlo fu un pronipote americano di Napoleone Bonaparte su richiesta del Presidente Theodore Roosevelt, zio del più famoso Franklin Delano: un repubblicano il cui motto era “Parla piano ma sempre impugnando un grosso bastone”. Fu lui a volere la distruzione dell’impero spagnolo liberando Cuba e le Filippine, sbarcando lui stesso a Cuba dove però cadde da cavallo. Al ritorno, chiese al fedele Joseph Bonaparte, già ministro della Marina e della Giustizia, di creare un braccio armato del governo di Washington, che se ne infischiasse delle polizie dei singoli Stati.
Bonaparte creò un gruppetto di poliziotti in abiti civili dediti alla repressione del banditismo, delle rivolte alla segregazione razziale, le evasioni dalle carceri e crimini mafiosi. Ma era ancora un progetto incompiuto. Poi arrivò, giovanissimo e con molte idee, il brillante funzionario J. Edgar Hoover che prese il piccolo ufficio e ne fece la più funzionante polizia di Stato dell’epoca. Restò a capo del FBI fino alla sua morte perché nessun presidente ebbe il fegato di licenziarlo temendone i ricatti. Come mai gli Stati Uniti avevano sentito la necessità di una polizia onnipotente come fu ed è l’FBI? La ragione è semplice: non ne avevano mai avuto una, sicché tutte le questioni criminali erano gestite da ciascuno Stato secondo le proprie leggi, usi e costumi. Con la crescita della società americana e delle turbolenze interne la necessità di uno strumento centralizzato sembrava ormai giustificata.
Appena costituita, quella polizia si trasformò subito in un potere che faceva capo ad un circolo ristretto di cui l’uomo più potente era lui, Hoover, l’ambizioso burocrate che si era dotato dei migliori strumenti tecnici con cui confrontare immagini e volti, nomi e targhe, intervenire anche in difesa dei poveri e dei perseguitati, ma sempre nutrendo i dossier con cui minacciare i politici.
Hoover costrinse Charlie Chaplin a tornarsene in Inghilterra, accusato di essere un agente sovietico. Quando nel 1965 Viola Liuzzo, un’attivista per i diritti civili, fu assassinata dal Ku Klux Klan mentre era in compagnia di un nero, lui stesso per proteggere l’assassino andò alla Casa Bianca per dire al presidente Johnson che la vittima era iscritta al partito comunista americano e aveva abbandonato i figli per una relazione con un uomo di colore.
Questo era il passato remoto, d’accordo. Ma che cosa cercava, per conto di chi e sulla base di quale precisa accusa i federali che si sono presentati nella casa privata di un ex presidente certamente colpevole di voler insistere e candidarsi alle prossime presidenziali?

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.