Il termine spread indica una differenza tra due tassi che viene misurata in punti base. In inglese infatti il termine “spread” viene tradotto verso l’italiano con “scarto” o “ampiezza”. Lo spread misura in punti percentuali il rendimento di titoli di Stato, che un Paese utilizza per finanziarsi, proprio nella misura di questo scarto. Il cosiddetto “benchmark” di riferimento misura calcola la differenza del rischio d’investimento tra un’obbligazione e un’altra.

Nell’ambito del mercato delle obbligazioni secondarie – il luogo preposto allo scambio di titoli di Stato – nel quale viene scambiato il debito già emesso, lo “spread” indica comunemente il tasso di rendimento del titolo decennale di un Paese rispetto a quello decennale della Germania, il “Bund” tedesco. Il Bund viene preso come punto di riferimento perché quello tedesco è il mercato più grande e più stabile della cosiddetta eurozona, l’insieme dei Paesi che hanno adottato l’euro. Il differenziale offre così una visione sulla salute economica di un Paese e l’atteggiamento degli investitori e degli operatori di mercato nelle attività nello stesso. Perciò si ricorre spesso all’espressione “rischio-paese” quando si tratta di obbligazioni di stato In estrema sintesi: se lo spread è troppo alto fa salire gli interessi passivi, complica l’emissione di nuovo debito e danneggia il rating, la valutazione di solvibilità del debito di uno Stato o di una società.

A incidere sul differenziale sono dunque i movimenti di acquisto e di vendita di attività sul mercato delle obbligazioni secondarie. Lo spread sale e scende a seconda di diversi elementi causando tensioni e instabilità politiche ed economiche. Il titolo decennale dell’Italia si chiama Btp.

Antonio Lamorte

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