L’ultimo discorso di una campagna elettorale lunga dieci anni è stato anche il primo da Presidente del Consiglio. Un intervento “programmatico”, per “i prossimi cinque anni, anzi dieci” di legislatura. Perché questo è “l’orizzonte” che si dà il governo di Giorgia Meloni. E come tale – è stato un intervento di 68 minuti la mattina (interrotto da circa 70 applausi) e di 34 minuti nella replica alla fine della discussione generale – è stato un discorso molto politico, di destra e quindi identitario (“famiglia”, “patria”, “coraggio”, “giovani”, “fare”)  ma quanto basta, senza esagerare, attento a non dividere, con la giusta dose di sfida e la necessaria approssimazione nel declinare il programma.

In 102 minuti è stato snocciolato tutto il repertorio di questi lunghi anni all’opposizione: tassa piatta; revisione delle pensioni; taglio del cuneo fiscale; mai più chiusure per il Covid; gli aiuti a famiglie ed imprese per dare sostegno alla crisi energetica; il gas da estrarre nei nostri mari; più asili e aiuti alla famiglia e alle donne; il “muro navale” contro i flussi migratori che però diventa “la terza fase della missione europea Sofia” e addirittura “un piano Mattei” per l’Africa, ultima versione dell’ “aiutiamoli a casa loro” del governo Renzi e del “Mediterraneo centro di una nuova realtà commerciale e culturale” che fu il lascito di La Pira e anche l’eredità, una delle tante, del governo Draghi. Ci sono l’Alleanza atlantica, l’Ucraina che va difesa, il “ricatto di Putin”. Ci sono “i giovani che vanno aiutati”, il lavoro prima di tutto, il reddito di cittadinanza che sarà cambiato, “l’ecologista più convinto è un conservatore”, i diritti e l’aborto per cui “mi valuterete dai fatti”, l’Europa che all’improvviso non è più quella per cui “la pacchia è finita” ma “la casa comune per fronteggiare le sfide della nostra epoca”. Insomma, tutto il repertorio, addolcito e opportunamente corretto, della propaganda.

Ma finisce qui. Mai nei 102 minuti di intervento si spiega “come” saranno prese determinate misure, con quali risorse e modalità. Cancellati Orban, l’Ungheria e la Polonia che nega i diritti, i nazionalisti spagnoli di Vox che Giorgia Meloni ha arringato fino a pochi giorni fa invocando la vittoria delle destre in Europa e la fine dell’egemonia anche culturale della sinistra. Un intervento identitario, di destra, ma ecumenico, non divisivo e attento a non spaventare. Il modo migliore, seppure ambiguo, per iniziare la navigazione “in un mare nel pieno della tempesta con un’imbarcazione, l’Italia, piena di ammaccature ma che resta pur sempre la nave più bella del mondo”. Un intervento che per ben tre volte ha richiamato “il pragmatismo” che è stata la cifra del governo Draghi.

Il colpo d’occhio dell’aula e del Transatlantico si colora dei grigi e dei blu di gessati e tailleur. I ministri, le new entry, hanno il primo approccio con il Transatlantico e i giornalisti. Il taglio dei parlamentari si percepisce a colpo d’occhio, fuori e dentro l’aula. I capannelli più ricercati sono quelli della destra. Sono finiti i bivacchi a 5 Stelle. E’ il normale ciclo delle stagioni a Montecitorio. Giorgia Meloni arriva alla Camera utilizzando il passaggio riservato. Vuole evitare il contatto con la folla. In queste prime notti ha dormito a palazzo Chigi, cena con il compagno e la bimba e poi studiare, studiare, studiare.  Inizia a parlare alle 11 e 5 minuti, tailleur doppio petto blu, top bianco. Elegante ed essenziale. I due vicepremier le siedono accanto, Salvini sulla destra, Tajani sulla sinistra e non perdono mezza parola. E’ la prima donna premier ma il colpo d’occhio sul governo parla rigorosamente al maschile.

Nel lungo discorso c’è spazio per le emozioni. “Sto a morì “ dice a Salvini dopo circa mezz’ora di intervento tra qualche colpo di tosse e molti sorsi d’acqua. Gli applausi sono tanti (70) e anche le standing ovation della sua maggioranza. “Così finiamo alle tre…” confida sempre a Salvini. Non è arroganza. Dietro la determinazione ci sono tante emozioni, quelle di “ogni singolo intervento fatto in questa aula in tanti anni” . Ma questa volta è diverso. Sa di aver “rotto il pesante tetto di cristallo” che resiste sulla testa delle donne e sa di non averlo fatto da sola. E allora, quasi a rispondere alle accuse di chi le rimprovera di coniugare al maschile la politica, cita quelle che potrebbero essere definite le sorelle d’Italia. “Donne che hanno osato – spiega –  per impeto, per ragione, o per amore”. E’ una lunga lista, declinata solo con il nome, che parte da “Cristina (Trivulzio di Belgioioso), elegante organizzatrice di salotti e barricate” e finisce con Marta Cartabia e Samantha Cristoforetti. In mezzo un secolo di battaglie, sconfitte e vittorie. “Grazie – dice Meloni – per aver dimostrato il valore delle donne italiane, come spero di riuscire a fare anche io”.

A se stessa riserva il ruolo dell’ “underdog”, la sfavorita, la “ragazza della Garbatella”  che si fa strada da sola, “ho stravolto i pronostici e voglio continuare a farlo”. Meloni pensa di regolare i conti con la storia quando dice di “non aver mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici, fascismo compreso, esattamente come ho sempre reputato le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana”. Nel passaggio successivo il ministro Lollobrigida, che è anche cognato, si spella le mani quando la premier ricorda come “in nome  dell’antifascismo militante, ragazzi innocenti venivano uccisi a colpi di chiave inglese (Sergio Ramelli, lo studente di 17 anni ucciso a Milano nel 1975, ndr)”.

In quei 102 minuti, attesi da una vita, certamente da anni, Giorgia Meloni ci ha voluto mettere un po’ di tutto, i papi, i santi, Steve Jobs, Montesquieu e Roger Scruton, Sergio Mattarella e Mario Draghi. E’ stata però anche molto attenta a rassicurare. Sull’Europa, ad esempio, “la casa comune dei popoli europei che deve  essere in grado di fronteggiare le grandi sfide della nostra epoca ma non sempre si è fatta trovare pronta”. Come è stato possibile, ha aggiunto, “in settanta anni e dopo aver esteso a dismisura le materia di propria competenza, non aver trovato soluzioni efficaci proprio in tema di approvvigionamento energetico e di materie prime?”. Rassicura sull’Ucraina e sull’Alleanza atlantica che garantisce le nostre democrazie”. Sbaglia, avverte, “chi crede sia possibile barattare la libertà dell’Ucraina con la nostra tranquillità”.

Su tutto il resto la premier non indica soluzioni né ricette. Le stesse che ha gridato in questi anni stando all’opposizione. Glielo farà notare, nelle dichiarazioni di voto, il segretario dem Enrico Letta: “Come intende tagliare la tasse? Come intende ristorare famiglie ed imprese dal peso dell’inflazione e del caro energia? Abbiamo vagamente capito solo che ci sarà un condono (Meloni ha parlato di “tregua fiscale sulle cartelle esattoriali”)”. Così come Matteo Richetti, capogruppo del Terzo Polo, le farà notare che “se oggi rassicura sull’Europa mettendola al centro, all’inizio della scorsa legislatura porta la sua firma un disegno di legge che tagliava ogni obbligo normativo dell’Italia rispetto all’Europa. e qualcosa di molto simile è ancora oggi nel vostro programma”. E se oggi vuole estrarre il gas dai nostri mari, “nel 2016 fece votare conto nel referendum sulle trivelle”.

E’, invece, molto identitaria e di destra, Meloni, quando parla di riforma costituzionale non tanto per i motivi (“occorre passare da una democrazia interloquente a una decidente”) ma per i modi: “Se lo faremo insieme – dice alle opposizioni – bene. Diversamente, non rinunceremo a cambiare l’Italia”. Avanti ad ogni costo. Come quando declina in uno slogan il suo mandato: “Non disturbare chi vuole fare”. Lo riferisce a chi vuole fare impresa. Ma la regola vale in generale. Sul reddito di cittadinanza non ha dubbi: va cambiato. I poveri avranno quello che serve. Ma per il resto “il reddito è stata una sconfitta per chi era in grado di fare la sua parte per l’Italia”.

Lega e Forza Italia sono soddisfatte. La premier non fa alcun riferimento alla circolare del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ieri mattina ha bloccato due navi Ong fuori dai porti italiani “perché non hanno rispettato le procedure europee”. Salvini sembra appagato: tutte le sue anticipazioni del giorno prima, dalla flat tax al blocco dei porti, sono state confermate. Ben oltre ogni ragionevole aspettativa. Anche troppo, e lui che fa ora se Giorgia gli porta via la scena del “fare”?

Le distanze dei giorni scorsi sono scomparse. Berlusconi e la compagna Fascina giudicano “eccellente” il discorso della premier. Meloni porta a casa anche il voto degli autonomisti di Bolzano e l’astensione di quelli del sud. Li ha lisciati con promesse sull’autonomia. Il ministro Lollobrigida fa i conti: “La maggioranza avrà un voto in più. Le opposizioni quattro in meno”. Vista oggi la maggioranza è solida, compatta e molto a destra. “La destra è coraggio o non è, è patria o non è” chiude le dichiarazioni di voto Tommaso Foti (Fdi). Appalusi da spellarsi le mani.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.