Parla lo storico portavoce di Amnesty
“Cosa ha prodotto il patto tra Libia e Italia: 1.550 morti e 32mila prigionieri”, intervista a Riccardo Noury
Abolire il “Memorandum della vergogna”: quello sottoscritto nel 2017 da Italia e Libia. Dopo Rossella Miccio, presidente di Emergency, la parola a Riccardo Noury, storico portavoce di Amnesty International Italia.
Perché il Memorandum d’intesa Italia-Libia dovrebbe essere cancellato in toto?
Perché è lo strumento con cui l’Italia, continuando a fornire alla Libia risorse fondamentali per le intercettazioni marittime, si rende complice di crimini di diritto internazionale. È lo strumento a causa del quale nel 2021 abbiamo avuto 1553 persone morte nel Mediterraneo. È lo strumento grazie al quale nel 2021 abbiamo avuto 32425 rifugiati e migranti catturati nel Mediterraneo dalla cosiddetta Guardia costiera libica e riportati in Libia, la cifra più alta mai registrata dal 2017.
Esternalizzare i confini. È l’ossessione dell’Europa e in essa dell’Italia, che sopravvive a cambi di governi e primi ministri. Quali ne sono le ricadute sul piano dei diritti umani?
È una politica che è iniziata nel marzo 2016 con l’accordo Unione Europea-Turchia. E che si basa sul principio dell’esternalizzazione a tutti i costi, pagando qualunque cifra e sopportando qualunque costo umano per il controllo delle frontiere. Oggi abbiamo la frontiera meridionale dell’Unione Europea sigillata. La frontiera orientale europea sigillata. E le conseguenze sono morti in mare, respingimenti – una prassi illegale – intercettamenti in mare, periodiche violazioni dei diritti umani nelle enclavi spagnole in Marocco. E tutto questo è figlio di una politica che abbiamo chiamato, fin dalla metà dello scorso decennio, quella della “Fortezza Europa”.
Il Riformista titola così un articolo di Gianfranco Schiavone: “Migranti ‘a tempo’, blocco navale. Un programma fuori dal mondo”. Per poi spiegare: “Nelle proposte della destra trionfa il linguaggio bellico: lo straniero deve essere un nemico”. Che politica è questa?
È una politica che viene portata avanti oggi ma non nasce oggi. Le narrazioni divisive, noi contro loro, prima noi e poi loro, sono narrazioni iniziate nello scorso decennio, portate avanti da figure come Trump, Orban e altri ancora, e poi sono arrivate anche in Italia. Quando nelle campagne elettorali e nel discorso politico si usa l’argomento della paura, della minaccia. Quando si ricorre a un linguaggio bellico, di cui ancora oggi conserviamo titoli vergognosi come “Lampedusa sotto assedio, sbarco nella notte di centinaia di clandestini”, tu stai applicando la narrazione bellica, tipo Dunkerque, a un fenomeno che dovrebbe essere semplicemente gestito con tutti gli strumenti, l’intelligenza e la condivisione di responsabilità che sarebbe necessario avere ma che non vediamo da nessuna parte. Ricordiamoci bene che noi oggi ci troviamo di fronte ad affermazioni come “blocco navale” che sono non solo impraticabili ma inaccettabili. Va detto però che la criminalizzazione della solidarietà, il tentativo di svuotare il Mediterraneo dagli occhi e dalle operazioni di soccorso delle Ong, sono partiti molto prima. E anche questa criminalizzazione della solidarietà, il tentativo di non avere occhi umani nel Mediterraneo, sono il prodotto del Memorandum Italia-Libia che ha delle paternità che non sono quelle di Meloni e Salvini.
L’ispiratore di quel Memorandum fu l’allora ministro dell’Interno (Pd) Marco Minniti. Allora, con grandi consensi all’interno dei Dem, Minniti coniò l’affermazione “sicurezza è una parola di sinistra”. Che riflessione le viene da fare?
La sicurezza è autentica quando rispetta i diritti umani. Dal 2001, dall’attacco alle Torri Gemelle di New York, abbiamo visto affermarsi un paradigma secondo il quale per avere più sicurezza occorre avere meno diritti umani. Noi sosteniamo l’esatto contrario, cioè che la sicurezza autentica è quella che si ottiene ampliando i diritti e non togliendoli. Ogni politica securitaria, che sia di destra o che sia di sinistra, che toglie diritti è una politica inaccettabile. Dobbiamo prendere atto, senza però rassegnarci, che il combinato disposto tra pandemia e guerra ha determinato un mondo più ingiusto e diseguale. Un mondo senza diritti umani. Troppe occasioni sono state colpevolmente sprecate. Dalla pandemia si sarebbe potuto uscire bene insieme tutti se fossero state condivise tecnologie, informazioni sulla produzione di vaccini, e invece le grandi aziende farmaceutiche hanno fatto profitti iper miliardari vendendo vaccini a prezzi elevati a chi poteva acquistarli. E quindi ai Paesi ricchi, instaurando una sorta di apartheid vaccinale nei confronti del sud del mondo, a cominciare dall’Africa. Si poteva affrontare il tema dell’impunità dei conflitti ancora in corso facendo funzionare di più e meglio la giustizia internazionale. Si poteva e doveva legare accordi economici e commerciali al rispetto dei diritti umani. Così non è stato. Per provare a invertire queste tendenze, occorre averne piena consapevolezza e non addolcire la pillola.
Una notizia positiva. Si potrebbe affermare che ci sono giudici non solo a Berlino ma anche a Roma. Il riferimento, su cui ieri questo giornale apriva la prima pagina, è la sentenza della Cassazione che tutela i diritti dei migranti. Una sentenza che afferma: vanno accolti gli stranieri anche se non hanno un lavoro fisso.
A volte il contenzioso giudiziario rimedia a quella narrazione e anche a quella applicazione di politiche contrarie ai diritti umani. E quindi va bene così. Più volte si è affermato che in un continente, quello europeo – che si sta svuotando con tassi di natalità bassissimi – da un punto di vista economico, lasciando perdere i diritti, ci sarebbe una grande convenienza nell’invertire le politiche di chiusura, nell’organizzare gli arrivi attraverso percorsi legali e sicuri. Se poi si preferisce invece portare avanti politiche che non solo causano gravi violazioni dei diritti umani ma che impedendo ogni possibilità di arrivo in condizioni regolari finiscono per consegnare questo fenomeno all’irregolarità e dunque alla criminalità organizzata, queste sono politiche miopi che non produrranno alcun risultato positivo.
A proposito del Mediterraneo e dei nostri interlocutori in quest’area così nevralgica per l’Italia. Erdogan che da dittatore diviene un partner indispensabile per la stabilizzazione del Mediterraneo. E lo stesso dicasi per al-Sisi. Come la mettiamo?
La mettiamo in questo modo: che la guerra ha prodotto uno stravolgimento delle relazioni internazionali oltre che i massacri e gli orrori di cui si stanno rendendo responsabili le forze russe in Ucraina. La guerra ha acutizzato un fenomeno, cioè l’ascesa di leadership ostili ai diritti umani. Chi si propone come negoziatore, è il caso di Erdogan, chi come fonte diversa di idrocarburi, come l’Algeria, l’Egitto, gli Stati del Golfo. E noi seguendo una politica che è doverosa nel momento in cui non dobbiamo finanziare la guerra della Russia ma andiamo a finanziare la repressione del dissenso nei Paesi che ho citato, da un punto di vista morale siamo leggermente meno cattivi, però le conseguenze per quelle popolazioni lì, per i difensori dei diritti umani, per i movimenti del dissenso saranno catastrofiche. Già ce ne occupavamo poco prima, ora li dimenticheremo del tutto.
C’è un mondo solidale, di cui Amnesty International ne è parte attiva, che non ha mai smesso di battersi per i diritti umani e in difesa dei più indifesi. Quando si parla di crisi tra rappresentanti e rappresentati, eletti ed elettori, e guardando ai temi di cui stiamo parlando, viene di conseguenza una domanda: non c’è anche questo alla base del distacco tra mondi reali e la politica e i partiti?
È probabile che in quella enorme percentuale che secondo i sondaggi manifesta indecisione rispetto alle scelte elettorali, ci sia anche, non so in quale quota parte, quel mondo lì. Un mondo che non trova all’interno delle istituzioni un riferimento che possa rappresentare quelle istanze di solidarietà di partecipazione, d’impegno per i diritti. Sarebbe bene che chi ha a cuore i diritti umani tra le forze politiche, si occupasse di questo. Nella scorsa legislatura c’è stato molto timore, molta pavidità, molta indecisione tra le forze che sostengono, almeno a parole, i diritti. Ci si è arresi all’idea che fossero temi controversi. Dal punto di vista del discorso politico, noi dovremmo dire che i diritti non sono controversi. E che bisogna avere il coraggio di esprimere questo principio. Che è un principio politico: i diritti non sono controversi. I diritti sono ciò che fa progredire una società. Su questo come Amnesty International Italia abbiamo presentati a tutti i leader e a tutte le leader in campagna elettorale, un manifesto in dieci punti, che parte da una premessa: sui diritti non si torna indietro, si va avanti. Quei punti stanno lì. Sono la bussola di una società che va avanti anziché andare indietro. Vedremo chi ci sarà. Qualcuno ha già aderito: una sessantina di parlamentari, Sinistra italiana, Europa Verde, Più Europa, Unione Popolare, Radicali. È un manifesto aperto all’adesione di tutti e di tutti. Vediamo chi s’impegnerà a realizzarlo, nel rispettivo ruolo di maggioranza e di opposizione.
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