Il ddl Zan è finito su di un binario morto. Mi capita quindi di essere ancora una volta “politicamente scorretto” su di un quotidiano come Il Riformista che non censura le opinioni. Io sono un sostenitore del bicameralismo paritario (come previsto dalla Costituzione); per questo ho votato No nel referendum sulla legge Renzi-Boschi come ho fatto anche nella consultazione riguardante l’amputazione di pezzi delle due Assemblea, tanto che nella prossima legislatura non si riuscirà non solo a formare le Commissioni (i relativi regolamenti sono ancora in alto mare) ma neppure a trovare il quarto per la partita a scopone. Tutto ciò premesso, devo dire grazie al Senato che anche in questa occasione ha dimostrato maggiore saggezza della Camera.

A mio avviso, il ddl Zan era (l’uso dell’imperfetto è un auspicio) un’impostura, un maledetto imbroglio. Col pretesto di assicurare una maggiore tutela agli omotransessuali tentava di insinuare (articoli 1, 4 e 7) nell’ordinamento giuridico una visione ideologica, priva di qualunque riscontro scientifico. Il sesso – che è l’unico dato reale ed evidente – veniva relegato ad un tratto di penna all’anagrafe, ad un adempimento burocratico che avrebbe imprigionato, surrettiziamente, il corpo alla natura degli organi genitali. Tutto ciò passando sopra all’esistenza di differenze (visibili e intuitive) che da miliardi di anni distinguono in tutti gli esseri viventi il maschio dalla femmina (se esiste qualche specie ermafrodita mi scuso per la mia ignoranza). E sono quelle differenze che consentono di procreare. Da questo vincolo non si sfugge, nonostante tutti i surrogati e le diavolerie che una scienza, un po’ disumana e mercificata, ha inventato per sottrarre il concepimento alle leggi della Natura.

Che cosa c’entrano i diritti civili (spesso evocati a sproposito) con l’identità di genere? Esercitare un diritto significa poter dare espressione libera alle proprie attitudini sessuali in un quadro di tutele contro la violenza, la discriminazione, la repressione; significa poter dare a queste unioni un riconoscimento giuridico con i relativi diritti e doveri. Vi sono opinioni che sostengono l’inutilità di sezionare per categoria i diritti di libertà, già ampiamente protetti in termini generali dalla Costituzione. Ad individuare delle categorie specifiche, con fattispecie di reati e di sanzioni rischia di limitare, non estendere il perimetro delle tutele per quelle categorie che non vengono ricomprese nell’elenco. In quell’Europa in cui si aggirava, nel XIX secolo, il fantasma del comunismo, oggi siamo chiamati a fare i conti con una nuova visione della biologia e dell’evoluzione, assolutamente priva di basi scientifiche. Su che cosa si basa, infatti, il concetto di gender? I suoi sostenitori rifiutano i concetti di dottrina e di teoria, ma come si deve definire un pensiero per cui l’identità sessuale di un individuo non viene stabilita dalla natura e dall’incontrovertibile dato biologico ma unicamente dalla soggettiva percezione di ciascuno che sarà libero di assegnarsi il genere percepito, “orientando” la propria sessualità secondo i propri istinti e le proprie mutevoli pulsioni.

È il genere – come emerge nei testi in cui si diffondono queste teorie – che stabilisce, in ultima analisi, l’identità sessuale di un individuo. Non si è uomini e donne perché nati con certe identità fisiche, ma lo si è solo se ci si riconosce come tali. Non ci sono maschi e femmine ma ci sono semplicemente esseri umani liberi di assegnarsi autonomamente il genere che percepiscono al di là del loro sesso naturale. Le tradizionali identità di maschi e femmine diventano così dei vecchi clichés, delle categorie mentali superate, inadatte a rappresentare la complessità sociale moderna e per questo vanno rimosse. La parola chiave degli ideologi del gender è “decostruire”, ossia, cancellare la natura, tentando di smantellare, pezzo per pezzo, un pensiero considerato obsoleto e oramai fuori tempo. Ma se l’orientamento sessuale viene difeso dalla legge, per quale motivo la teoria dell’identità di genere (ovvero «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione») deve trovare posto, in modo arbitrario e truffaldino, nell’ordinamento giuridico alla stregua di un valore comune?

Determinando così una vistosa contraddizione: quanto viene percepito diventerebbe reale a norma di legge, mentre ciò che è platealmente reale (il sesso) si trasformerebbe in un’opinione, magari un po’ retrò e a rischio di essere ritenuta una prevaricazione. Peraltro, a pensarci bene, il fatto che la combriccola del ddl Zan abbia rifiutato – come è stato sottolineato nel dibattito – ogni mediazione e abbia deciso di resistere fino in fondo nella difesa degli articoli ‘’ideologici’’ significa che era questo per loro l’obiettivo più importante, alla faccia della lotta alla violenza e alle discriminazioni. La caduta del ddl Zan deve divenire oggetto di un dibattito più ampio. Non può passare come un colpo di mano dei reazionari bigotti, incapaci di interpretare i fenomeni evolutivi della società. Non basta evocare, alla stregua di un pensiero unico che non ammette né dubbi né repliche, i “nuovi” diritti civili, ignorando il loro lato oscuro, favorito oggi dallo sviluppo di innovazioni tecniche che aprono inedite prospettive (si pensi a tutte le possibili manipolazioni del feto consentite dalla tecnologia prenatale che ha già provocato un effetto eugenetico: la scomparsa dei soggetti down). Proprio la visione di queste nuove possibilità amplia lo spazio delle aspirazioni del singolo e dei gruppi, facendo perdere di vista il limite etico insito nel concetto stesso di libertà.

È divenuto legittimo il dubbio che siano appunto le leggi a trasformare in diritti comportamenti, propensioni, attitudini riconducibili al massimo ad una idea di libertà. Per dirla con Dante lo Stato è sempre più disponibile a seguire il seguente principio: “libito fé licito in sua legge”, In una società organizzata è vigente solo il diritto positivo come determinato dalla stessa gerarchia delle fonti giuridiche? È questa una conclusione corretta, ma pericolosa, perché è diritto positivo anche quello vigente in uno Stato autoritario attraverso leggi promosse ed approvate mediante le procedura disposte dall’ordinamento e dagli organi (ordinari o straordinari) a cui è riconosciuto quella funzione nell’ambito degli assetti di potere esistenti, in una determinata fase storica. Un diritto positivo, un sistema di legalità, intesa come conformità alle leggi, esistono anche in uno Stato autoritario, in un regime dittatoriale e in base a quel sistema viene esercitata la funzione giurisdizionale. Senza scomodare il giusnaturalismo, nella storia del pensiero dell’umanità vi è sempre stato un sistema di valori, che si arricchisce nel tempo, a cui si ispira il diritto positivo, fino al punto di ritenere inique le leggi formalmente legittime che quei valori conculcano. Poiché il diritto naturale viene prima delle leggi i suoi principi non possono essere violati dal diritto positivo.

Ciò accade non solo quando i diritti sono conculcati da un potere autoritario che li nega, li disconosce, li limita. Ma anche quando si abusa di essi, come in molti aspetti – quelli più controversi – del ddl Zan. Un ultima considerazione riguarda uno dei punti più controversi: come affrontare queste delicate problematiche con i minori. Un conto è educarli a rispettare la diversità da sé; è un altro paio di maniche spiegare loro che la diversità non esiste. Io non credo – come ho letto con grande dissenso – che si nasca omosessuali o eterosessuali; ma che lo si diventi. E che tanti di noi possono intraprendere e riconoscersi in ciascuna di queste attitudini in conseguenza di molti fattori che intervengono nella formazione della personalità. Per questi motivi ogni comunità familiare ha il diritto – sancito dalla Costituzione – di educare i figli secondo la propria coscienza e le proprie convinzioni; senza sentirsi colpevole di nulla se li si aiuta ad avere un orientamento eterosessuale. Certo, come in tutti i rapporti umani occorrono equilibrio, tolleranza e amore.