Era il 1988 quando Raffaele Riefoli, in arte Raf, lanciò uno dei suoi successi più conosciuti dal pubblico. Stava per chiudersi un decennio di diffusa euforia, ma anche di profondi cambiamenti per l’Italia e per il mondo, e il cantautore di origini pugliesi cantava nelle piazze il suo “cosa resterà di questi anni Ottanta, ora che siamo alla fine, noi, di questa eternità”.
Il refrain di quel pezzo mi è tornato in mente proprio in questi giorni dopo che di Elon Musk ha mandato in soffitta il marchio storico di Twitter, sostituendo il passerotto blu con una X bianca su fondo nero. Sia chiaro, non mi interessa entrare nella disputa sull’opportunità della scelta grafica, del valore percettivo e reputazionale di un brand consolidato, sul valore della riconoscibilità. Ci sarebbe tanto da dire e discutere, ma qui e ora, invece, vorrei chiedermi altro, saccheggiando le parole scritte e cantate da Raf: cosa resterà ai politici italiani di questi anni di Twitter?
Twitter prima di Facebook è stato per i politici il social che li ha accompagnati nel debutto ufficiale nell’eco sistema delle piattaforme. Nei primi anni ha rappresentato il social network che gli consentiva di vivere in modo decisamente meno traumatico l’approdo in una dimensione totalmente nuova, non protetta, senza filtri e senza gerarchie, dove non c’erano più quelle regole universalmente accettate e rispettate che mediavano il rapporto tra i leader e i cittadini. I follower erano diventati a loro volta potenziali leader e come tali si comportavano sulla piattaforma.
Twitter molto più di Facebook è stata la scuola obbligatoria che i politici dovevano frequentare, molto spesso da soli e senza andare a ripetizione pomeridiana dal social media manager tuttofare, per prendere il diploma della disintermediazione. Così il twittare, inserito nel 2007 dall’Accademia della Crusca nell’elenco delle parole nuove, è diventato per i politici uno status di credibilità, il riconoscimento tacito ma prioritario di una autorevolezza, il passaporto essenziale per provare a dettare l’agenda del dibattito pubblico che intanto traslocava rapidamente dalla carta stampa e dalla televisione verso la rete.
La X che campeggia da qualche giorno sullo schermo dei nostri smartphone è la conferma di una trasformazione della natura di Twitter che è ancora tutta da scoprire e che ci costringerà a modificare radicalmente il modo in cui fino a ieri abbiamo popolato la piattaforma. Del resto, come postato appena ieri dall’account ufficiale la “visione attuale di X è stata sviluppata negli ultimi 9 mesi ma, all’orizzonte c’è molto di più”. Quindi, in attesa di nuovi sconvolgimenti, è lecito chiedersi cosa ci rimarrà di questi anni dei politici su Twitter?
Maurizio Gasparri, che ha aperto il suo account a marzo del 2011, ci lascia una corposa eredità fatta di 184.304 tweet, Matteo Salvini, dall’aprile del 2010 a oggi, ci consegna invece 55.658 tweet e Matteo Renzi, tra i primi a sbarcare su Twitter avendo aperto il proprio account a gennaio del 2009, di tweet ne ha collezionato in questi anni 14.502, mentre Giorgia Meloni negli ultimi tredici anni, dall’aprile del 2010, di tweet ne ha pubblicati 20.595. Numeri che raccontano plasticamente quanto Twitter fosse diventata per certi aspetti la terza Camera della Repubblica.