Lo sciopero dei benzinai
Cosa sono le accise sulla benzina e perché non il governo non vuole tagliarle
Due giorni di scioperi dei 22 mila gestori di pompe di benzina in Italia. Il 25 e il 26 gennaio, tra due settimane. “Ci avete rovesciato addosso un fango assurdo e ingiustificato. Ora basta: l’aumento del costo dei carburanti è una decisione del governo, noi non c’entriamo nulla” hanno tuonato esausti i rappresentanti di tutte le sigle sindacali del settore precisando che si tratta di uno sciopero “contro le politiche del governo e a difesa dell’onore di 22.500 operatori e dei loro 100.000 dipendenti, già oggi scaraventati in pasto all’opinione pubblica”. Seguirà anche conferenza stampa, la prossima settimana.
La sensazione è che il governo, spiazzato da quanto sta accadendo (forse è la cosa peggiore), stia cercando di tenersi qualche spiraglio aperto per ricucire con la categoria dei benzinai. “Non ce l’abbiamo con loro, è un equivoco” ripetono ministri e parlamentari di Fratelli d’Italia, da Daniela Santanchè a Luca Ciriani. Il problema è che è stato il governo, tutto, a puntare il dito contro la speculazione. Cioè contro i furbetti della pompa di benzina. Il ministro Giorgetti ieri al question time ha indicato la soluzione: “Nel decreto Trasparenza del 10 gennaio, come vedrete, sarà previsto un nuovo intervento sulle accise se i prezzi dovessero salire ancora”. Si indica la soglia psicologica dei 2 euro. Ma potrebbe abbassarsi. Tutto dipenderà dalle risorse disponibili. E comunque oggi (11.30) il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ha convocato a palazzo Chigi tutte le categorie. Toni flautati, quasi di scuse : “Non c’è nessuna ondata di fango nei confronti dei titolari delle pompe di benzina e del settore in generale. Domani io, Urso e Giorgetti li incontriamo per ascoltare le loro ragioni e confrontarle con le misure che il Governo ha adottato”.
Che non sono misure penalizzanti per la categoria ma servono “a dissuadere i furbi e coloro che vogliono approfittare della situazione. Lo facciamo per tutelare i consumatori e gli operatori che non approfittano della situazione”. Diciamo la verità: beccarsi uno sciopero di 48 ore alle pompe di benzina è lo smacco più grave che Giorgia Meloni potesse mai immaginare. Ingenuità? Presunzione? Arroganza? “Credevamo che i prezzi scendessero visto che la materia prima cala a vista d’occhio” ha detto ieri il ministro economico Giancarlo Giorgetti nel question time al Senato. E che quindi, il ritorno delle accise potesse essere compensato dalla discesa dei prezzi. Ma così non è stato. Anche l’errore di calcolo, quindi. Un disastro in comunicazione. Tre giorni di gaffe e ciascuna che cercava di coprire quella precedente. Ad esempio: “Abbiamo tolto lo sconto sulle accise perché favoriva le auto di grossa cilindrata”. Peccato che al tempo stesso dia la botta finale a chi è costretto a fare il pendolare con auto propria. Ad esempio gridare alla speculazione (dal 5 gennaio) salvo poi scoprire che il caro benzina è figlio quasi esclusivamente di una decisione tutta politica del governo di destra-centro. L’annuncio dello sciopero ieri mattina ha messo per la prima volta il governo faccia a faccia con l’impopolarità. Da un dossier che nessuno aveva immaginato essere rischioso. Anche un po’ di superficialità, quindi.
Durissima la lettera inviata da Faib, Confesercenti Fegica e Figisc-Anisa Confcommercio a palazzo Chigi. Il governo “aumenta il prezzo dei carburanti e scarica la responsabilità sui gestori che diventano i destinatari di insulti ed improperi degli automobilisti esasperati. Contro la nostra categoria è stata avviata una campagna mediatica vergognosa”. Nella stessa lettera ci sono allusioni pesanti (“beatificati i trafficanti di illegalità che operano in evasione fiscale e sottraggono all’Erario oltre 13 miliardi di euro all’anno”) e accuse specifiche. “L’impressione che si trae dalle scelte dell’esecutivo – si legge nella lettera – è che sia a caccia di risorse per coprire le proprie responsabilità politiche, senza avere neppure il coraggio di mettere la faccia sulle scelte operate e ben sapendo che l’Agenzia delle Dogane, il Mimit, e l’Agenzia delle Entrate hanno, già oggi, la conoscenza e la disponibilità di dati sul movimento, sui prezzi dei carburanti e sull’affidabilità delle comunicazioni giornaliere rese dalla categoria”. Un “imbroglio mediatico”. Riusciranno i tre ministri a far ragionare i benzinai “umiliati, offesi e trascinati nel fango?”. Riusciranno a far rientrare lo sciopero?
Intanto si creano le condizioni e le premesse per un compromesso. L’apertura è stata affidata alle parole del ministro Giorgetti. “Il governo si riserva di adottare la misura di ridurre le accise in presenza di un aumento verificato dei prezzi” ha detto il ministro economico rispondendo al Senato alle domande di Misiani (Pd) e Floridia (M5s). Non solo, Giorgetti annuncia anche che “il governo monitorerà attentamente la situazione dell’andamento dei prezzi, quelli della benzina ma anche quello dei beni di largo consumo, per verificare la coerenza o scarsa trasparenza e speculazioni”. E comunque, sempre Giorgetti, ha valuto parlare a nuora perché suocera (gli italiani) intendesse. Draghi ha congelato le accise quando i carburanti avevano superato i 2 euro al litro (toccando i 2,184 euro per la benzina). La sua misura si sarebbe esaurita a fine novembre. “Non ci sono dubbi che oggi le nostre condizioni di prezzo sono ben diverse…” ha chiosato il ministro. Peccato che in alcune zone in questi giorni il carburante sia stato venduto a 2.50. Da qui “le misure normative volte a migliorare la trasparenza dei prezzi e ad evitare speculazioni”.
In poche parole, se tre due settimane i prezzi restano alti, vicini alle soglia dei due euro al litro, il governo sarà costretto ad intervenire sulle accise.
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