C’è molta effervescenza attorno al fenomeno delle Comunità energetiche rinnovabili (CER). Non solo per impulso delle associazioni ambientaliste ma anche da parte delle istituzioni locali, fino alla stessa Conferenza Episcopale Italiana che ha invitato le parrocchie a promuoverle come buona pratica conseguente ai principi dell’enciclica Laudato Sì. Le CER si pongono infatti quale modello emergente di un metodo alternativo di produrre e consumare energia basato sulla condivisione, contraddistinto dalla finalità precipua di generare benefici sociali, ambientali ed economici ai membri della stessa e al territorio interessato, operando nel rispetto del principio di autoconsumo energetico e autosufficienza e utilizzando impianti che producono energia pulita e rinnovabile.

Grazie all’autoproduzione e allo scambio di energia, in un’ottica di economia circolare, le CER puntano all’autonomia energetica mettendo a sistema le risorse e i mezzi di produzione di cui una comunità già dispone. Un modello quindi che apre la strada a nuovi scenari di produzione di energie rinnovabili sperimentando ruoli innovativi in ambito sociale, etico e civico, verso uno stile di vita più sostenibile e partecipativo. Le CER, infatti, in quanto contraddistinte dalla cittadinanza attiva e dalla partecipazione di diversi attori sociali, possono rappresentare importanti acceleratori di una transizione ecologica socialmente sostenibile.

E sono proprio gli stessi numeri ad evidenziare l’impatto che tale nuovo modello sta avendo. Le Comunità Energetiche Rinnovabili presenti in Italia sono circa un centinaio, tra realtà effettivamente operative (35), in via di progettazione (41), o che stanno muovendo i loro primi passi verso la costituzione (24). Di queste, 59 sono nate tra giugno 2021 e maggio 2022. Un fattore che evidenzia l’esponenziale crescita di interesse verso questo fenomeno e che vede tra i soggetti coinvolti nei progetti amministrazioni comunali, condomini, cittadini, imprese ed enti del Terzo settore.

Nel contesto europeo – invece – esiste una Federazione delle cooperative energetiche che riunisce circa 1900 CER, per un totale di oltre 1,2 milioni di cittadini coinvolti. Il paese UE con il maggior numero di CER – secondo uno studio del Centro Comune di Ricerca dell’Unione Europea del 2020 – è la Germania, che ne conta 1750. Seguono la Danimarca (700) e i Paesi Bassi (500). In Gran Bretagna le Comunità Energetiche sono oltre 420. Un fenomeno, quello appena delineato, destinato a diventare sempre più una forza promotrice di dinamiche partecipative che tendono a coinvolgere in questo sistema virtuoso anche la Pubblica amministrazione. Le comunità energetiche ricoprono un ruolo fondamentale per la transizione ecologica ma anche per la strategia energetica del nostro Paese.

Sulla base delle Direttive comunitarie, si è innestata la legislazione italiana che, con il D.lgs 199/2021 – nell’ambito dei più generali obiettivi di decarbonizzazione per il 2030 – ha individuato tra gli strumenti utili allo scopo proprio le CER. Nel mese di giugno di quest’anno, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha finalmente predisposto lo schema di decreto attuativo dell’art.31 del D.lgs 199/2021. Nello stesso testo si definiscono altresì i criteri e le modalità per la concessione dei contributi previsti dalla Missione 2 del PNRR, destinati in particolare alla produzione e distribuzione di energia mediante le Comunità energetiche e l’autoconsumo. Più recentemente è intervenuta un’importante novità legislativa con la conversione in legge del dl n.57/2023. Infatti, con la legge n.15 del 26 luglio 2023, sono state incluse tra le attività di “interesse generale” anche le attività di produzione, accumulo e condivisione di energie da fonti rinnovabili a fini di autoconsumo. E questo, modificando sia l’art.5 del Codice del Terzo (CTS), sia l’art. 2 del D.lgs 112/17 che disciplina le imprese sociali.

Perché quest’ultima novità risulta particolarmente importante? Essenzialmente per tre ragioni. La prima, perché toglie ogni ombra di dubbio sulla possibilità per una CER di assumere la qualifica di ente del terzo settore (ETS) o di impresa sociale in quanto, precedentemente, era per lo meno opinabile che l’attività di produzione di energia rinnovabile fosse riconducibile a quelle individuate all’art. 5 del CTS. La seconda, perché lo statuto normativo della CER presenta diversi tratti identitari comuni con gli ETS. Una terza ragione risiede nel fatto che – qualora la CER assuma una delle forme giuridiche previste dal CTS e si iscriva al Registro unico nazionale del terzo settore – potrà godere degli specifici benefici della generalità degli ETS, quali le agevolazioni fiscali, l’accesso al 5 per 1000, il regime di detraibilità o deducibilità delle erogazioni liberali ricevute, l’utilizzo del “social bonus” o, ancora, la possibilità di avvalersi degli istituti dell’amministrazione condivisa.

Dunque le CER rappresentano un’opportunità di crescita per le organizzazioni di terzo settore, chiamate non solo a soddisfare esigenze e bisogni dei soggetti partecipanti, ma anche e sopratutto a realizzare interventi in favore delle comunità di riferimento, specie per le fasce più deboli della popolazione. La recente modifica legislativa contenuta nella l.15/2023 non risolve certo in via definitiva quale sia la forma giuridica più appropriata per una CER (associazione, fondazione o impresa sociale), ma certo non pone più ostacoli a costituire una CER come ETS.

Per cercare di dare risposte maggiormente operative, la Fondazione Terzjus sta realizzando, su incarico della Fondazione Cariplo, una ricerca dal titolo: “L’Ente di terzo settore come nuovo veicolo per lo sviluppo delle Comunità energetiche”. Obiettivo della ricerca, sulla base di un’analisi di 10 casi tipo, consiste nell’elaborare uno o più modelli di CER nella forma di ETS che utilizzino al meglio le opportunità regolamentari e fiscali previste dalla riforma del Terzo settore e che siano facilmente replicabili. In sintesi, il modello CER/ETS può tenere insieme gli obiettivi sia del risparmio energetico sia dell’inclusione sociale delle fasce più vulnerabili della popolazione.