Dopo un lungo periodo di crescita, arriva puntuale “l’assestamento” e i mercati borsistici cominciano a tremare e a far sudare freddo gli investitori. Anche ieri è stata una giornata di passione. Milano ha lasciato sul terreno il 2,3 per cento (anche con punte del 4 per cento), mentre non vanno meglio le cose per il resto d’Europa. Nulla a che vedere, però, con quanto successo con la Borsa di Tokyo, dove l’indice Nikkei registra una delle peggiori performance di sempre con un meno 12,4 per cento. Insomma, questa estate finanziaria non è per investitori e speculatori dal cuore debole.

Cosa è successo

Cosa sta succedendo? Perché tanta volatilità e questi improvvisi crolli? Proviamo a mettere in ordine gli eventi e cerchiamo di dare una spiegazione al comportamento dei mercati. Partiamo dal fatto che le Borse hanno registrato, nel corso del 2023, dei veri e propri record. Basti pensare che Milano ha guadagnato il 28 per cento: un anno da incorniciare, nonostante ci sia stato l’aumento dei tassi di interesse. Guardando le statistiche, quando crescono i tassi le Borse hanno sempre andamenti tiepidi. Cosa che non è successo nel 2023 grazie soprattutto agli indici bancari che, con alti tassi di interesse, hanno registrato enormi profitti. Fatta questa premessa, cerchiamo di capire cosa porta i mercati a “vendere” ed essere più pessimisti del passato.

Banche

Il primo elemento da valutare è la “confusione” che regna tra le banche centrali. In pratica, dalla Fed alla Bce, dalla Banca d’Inghilterra a quella di Giappone e Cina non emerge un andamento univoco e coerente sulle politiche dei tassi di interesse. Europa e Usa sono alla finestra prima di abbassare i tassi a settembre; la Banca d’Inghilterra e quella di Cina invece tagliano, mentre il Giappone rialza dopo anni di politiche monetarie accomodanti.
Questi “contrasti” sui tassi di interessi si riflettono nei mercati borsistici generando confusione e timori e facendo prevalere le vendite. Aggiungiamo che le Banche centrali stanno riducendo la liquidità in circolazione. Si consideri che la Fed lo fa togliendo dal sistema circa 60 miliardi di dollari al mese e un sistema simile sta adottando la Bce. Anche la Banca del popolo (Cina) ha abbassato i tassi ma non ha aumentato l’ammontare di denaro in circolazione.
A questo bisogna aggiungere un appunto esclusivamente italiano: le nostre banche sono interessate alle vendite, è la settimana delle semestrali e si teme per la tenuta dei conti. Dopo le performance eccellenti dello scorso anno, un calo dei profitti è all’orizzonte.

Tecnologici

Un altro elemento che determina il mercato è l’andamento dei titoli tecnologici. Cresciuti in maniera esponenziale, ora scontano trimestrali non eccelse e previsioni di mercato grigie. Basti pensare che il Nasdaq, indice che valuta i titoli tecnologici a Wall Street, dallo scorso 11 luglio ha perso il 16 per cento. Fino a quella data aveva registrato 31 mesi di rialzi.Ancora una volta la valutazione finanziaria di queste aziende vola molto più in alto della realtà. Ad esempio, il 70 per cento dei guadagni a Wall Street nel 2023 si deve soprattutto alle grandi “sette”: Nvidia, Tesla, Meta, Apple, Amazon, Microsoft e Alphabet. Come spiegano gli esperti, lo scorso anno i tecnologici hanno “sovraperformato” grazie all’Intelligenza artificiale e alla svolta sulle auto elettriche. Ora che i mercati globali vanno incontro ad un periodo di recessione, gli investitori temono che il primo settore a rimetterci sarà proprio quello tecnologico.

Cina e Usa

A preoccupare più di tutto, però, è l’economia degli Stati Uniti. Venerdì 2 agosto, sono stati resi noti i dati degli occupati: 114mila rispetto ai 175mila attesi. L’indice che calcola gli ordinativi del manifatturiero, l’Ism, ha registrato a luglio 46,6 punti: al di sotto delle attese. In pratica le aziende riducono gli ordini perché vedono un futuro incerto.
Questi dati hanno innescato un panico sui listini. Se aggiungiamo l’incertezza dovuta alla campagna elettorale Usa, si crea un complesso di sfiducia che paralizza i mercati.
Non vanno meglio le cose per la Cina, dove i consumi interni sono impantanati e la previsione di crescita del Pil intorno al 5 per cento (normalmente un dato enorme ma per le dimensioni della Cina non lo è) crea preoccupazioni. Senza contare che il sistema creditizio cinese è in riorganizzazione, dopo il crollo di alcune banche regionali.

Spread

Resta fermo lo spread tra i titoli di Stato italiano e quelli tedeschi, nonostante si registrino forti acquisti per i Bund, considerati bene rifugio.
Aggiungiamo, infine, i problemi di natura geopolitica: il conflitto in Medio Oriente, la guerra Russo-Ucraina e la probabile guerra di dazi che ci sarà tra Usa, Cina ed Europa.
Mescoliamo tutti questi elementi e otteniamo mercati nervosi e tendenti alle vendite. Insomma, un vero e proprio “Bear” market (il mercato prudente è definito Orso mentre quello speculativo Toro, “Bull”) si staglia all’orizzonte degli investitori.

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