Cos’è CaRLA, la nuova terapia di antiretrovirali contro l’HIV: per Jonathan Bazzi la “fine di una schiavitù”

CaRLA potrebbe cambiare sensibilmente la vita di tante persone positive al virus dell’HIV. Questo almeno stando alle parole dello scrittore Jonathan Bazzi, 37enne, finalista al Premio Strega con Febbre, il romanzo in cui aveva ripercorso la scoperta della sua positività. “Ho fatto le prime inoculazioni dei farmaci iniettivi, stasera prenderò per l’ultima volta (spero) la pastiglia rosa pallido che, da sei anni, piega i miei orari e reclama la mia (labile) capacità organizzativa. Cambia tanto ora per le persone che convivono col virus dell’Hiv, cambia davvero tantissimo, anche se nessuno ne parla”, ha detto a Il Corriere della Sera Bazzi.

La terapia a lunga durata consiste in due iniezioni intramuscolo di antiretrovirali, il cabotegravir e la rilpivirina, che andranno così a sostituire la pastiglia quotidiana, soluzione orale. Ogni due mesi un’iniezione dei due farmaci, effettuata da un operatore sanitario in una struttura ospedaliera. Non è escluso che in futuro la terapia si sviluppi fino all’autosomministrazione. La terapia è indicata a pazienti in soppressione virale, ovvero con l’infezione già sotto controllo.

È stato provato, tramite questionari, che la nuova terapia tramite iniezioni, ha portato a un sensibile miglioramento nella qualità della vita quotidiana: senza la pastiglia la malattia viene quasi dimenticata. “Tirare fuori la pastiglia, a cena con altre persone, lo vivevo come un gesto violento: sentivo di riflesso il loro disagio. Ma non ho problemi a dirmi sieropositivo – ha detto Bazzi -, plasma un po’ la mia vita, ma l’aspetto simbolico, emotivo, estetico-narrativo legato alla malattia non mi interessa. Ho scritto Febbre proprio per raccontare una storia diversa”.

Gli anti-retrovirali, utilizzati contro l’AIDS, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta hanno permesso di controllare il virus HIV, che appartiene alla famiglia dei retrovirus, bloccando le attività delle proteine enzimatiche. Le terapie combinate hanno permesso di abbattere mortalità e progressione della malattia. La maggior parte dei farmaci blocca l’attività di enzimi che permettono all’HIV di moltiplicarsi nelle sue cellule bersaglio. Le terapie non guariscono dal virus ma lo tengono sotto controllo.

Le persone positive all’HIV devono monitorare costantemente il proprio stato di salute ma grazie alle terapie antiretrovirali possono ormai condurre una vita normale, anche dal punto di vista sessuale. Lo sviluppo nelle cure ha innalzato secondo i dati della Conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche (CROI) la differenza dell’aspettativa di vita delle persone positive rispetto alle negative in soli tre anni. Le prime terapie avevano forte impatto sul fisico dei positivi, un effetto collaterale che si è molto ridotto grazie ai più recenti sviluppi. Se intraprese con tempismo le persone positive all’HIV possono non arrivare mai all’AIDS.

Per quanto riguarda la profilassi da alcuni anni sono disponibili, anche in Italia, i farmaci “PrEP” (da “pre-esposizione”) che prevengono l’infezione con l’assunzione di un farmaco prima e dopo un rapporto sessuale a rischio. “Se penso a cosa accadeva negli anni Novanta – ha aggiunto lo scrittore – , quando sono arrivati gli antiretrovirali, non posso che dirmi fortunato: siamo passati dai tentativi devastanti con l’Azt, ai cocktail quotidiani di 15/20 pastiglie, alle due iniezioni ogni due mesi di oggi (si sta lavorando perché siano due ogni 6 mesi)”.