Aveva 92 anni la prima vittima deceduta con Febbre del Nilo in Piemonte. A comunicare la morte di Giuseppina Laria, residente in provincia di Novara, la Regione. La donna va ad aggiungersi ad altre tre vittime tra Veneto ed Emilia Romagna come riportato dall’Istituto Superiore di Sanità nel bollettino settimanale. 15 i casi di infezione cui si aggiunge il primo riscontrato oggi pomeriggio nel veneziano. L’Istituto Zooprofilattico sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ha avviato lo screening di 6 pool di zanzare e oggi, giovedì 21 luglio, confermerà se in quella zona, è in corso una piccola epidemia di West Nile.
La seconda persona trovata infetta in Piemonte risiede invece in provincia di Vercelli. Non risulta esserci al momento alcun caso tra animali. La seconda vittima deceduta in Veneto, all’ospedale di Schiavonia, aveva 77 anni, è morta nella serata del 19 luglio. Un uomo che era affetto da più patologie e che era stato ricoverato con un quadro di encefalite da West Nile. Il primo era morto a Piove di Sacco. Altri tre sono ricoverati tra Piove di Sacco, Schiavonia e Padova. L’ultimo tracciato è stato ricoverato nel reparto di Terapia Intensiva dell’Ospedale di Dolo, nel veneziano. Due cavalli sono risultati infetti dal virus, e con sintomi neurologiche, in Veneto.
Aveva 88 anni la vittima morta all’Ospedale di Cona e residente a Copparo, in provincia di Ferrara, con una grave forma di encefalite. Proprio come il covid anche la Febbre del Nilo risulta essere più aggressiva verso anziani e pazienti fragili. Si tratta di “una malattia provocata dal virus West Nile (West Nile Virus, Wnv), un virus della famiglia dei Flaviviridae isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda, appunto nel distretto West Nile (da cui prende il nome) e oggi diffuso in Africa, Asia occidentale, Europa, Australia e America — spiega l’Istituto Superiore di Sanità sul sito ufficiale dedicato alle epidemiologie —. Il virus non si trasmette da persona a persona tramite il contatto con le persone infette ma infetta anche altri mammiferi, soprattutto equini, ma in alcuni casi anche cani, gatti, conigli e altri”.
La prima epidemia in Algeria nel 1994. Il virus si trasmette tramite la puntura di zanzare, in particolare la specie Culex. È stabilmente presente negli uccelli in Europa meridionale. A inizio 2000 erano stati segnalati casi di cavalli infetti in Toscana, dal 2008 infezioni anche nell’uomo in diverse Regioni – da quell’anno è in atto un piano di sorveglianza. Altri mezzi di infezione risultano essere trapianti di organi, trasfusioni di sangue e trasmissioni madre-feto durante la gravidanza – anche se molto più rari. La maggior parte degli infetti non dimostra sintomi ma in due casi su dieci soffre febbre, mal di testa, nausea, vomito, linfonodi ingrossati e sfoghi cutanei.
La diagnosi avviene tramite test di laboratorio su siero o fluido cerebrospinale per la ricerca di anticorpi di tipo IgM. Non esiste una terapia per la febbre West Nile, nella maggior parte dei casi i sintomi spariscono da soli dopo alcuni giorni o al massimo dopo qualche settimana. Nei casi più gravi si ricorre al ricovero in ospedale. Il periodo più a rischio va da maggio a novembre, il picco per i contagi tra fine agosto e settembre. Dal 2015 l’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di casi segnalati all’anno.
Non esiste un vaccino. Per il momento la prevenzione consiste nella protezione dalla puntura di zanzare: tramite l’uso di repellenti, pantaloni lunghi, camicie a maniche lunghe, zanzariere. Consigliato anche svuotare spesso i vasi di fiori o altri contenitori con acqua stagnante e cambiare l’acqua nelle ciotole per gli animali. La prima variante è stata isolata per la prima volta in Ungheria. “Al momento di un numero dei casi è leggermente più alto, ma comunque confrontabile a quelli registrati negli altri anni non epidemici, e lontano dai valori del 2018”, ha commentato l’Iss.