Editoriali
Così la magistratura si spartisce le poltrone, come funziona il mercato delle nomine
La diffusione “centellinata” delle intercettazioni della Procura della Repubblica di Perugia, in seno all’indagine per corruzione che ha investito Luca Palamara, sostituto procuratore della Repubblica a Roma nonché ex membro del Csm ed ex presidente dell’Anm, delinea un quadro tetro sulle modalità di nomina dei dirigenti giudiziari e sulle relative interferenze. Nulla di nuovo, per carità, salvo due aspetti certamente non secondari: il carattere dilagante e pervasivo del mercimonio, da una parte e, dall’altra, la “pistola fumante” di una prassi illegale eretta a controsistema occulto. Perché – al di là di quelli che saranno gli esiti dell’inchiesta – l’osservatore disincantato non potrà negare ai magistrati perugini il merito di aver fatto definitivamente luce su quel “mondo parallelo”.
Il lettore paziente (e dotato di stomaco) ha potuto (verrebbe fatto di dire “finalmente”) toccare con mano il pilotaggio delle nomine per le Procure di Roma, Perugia, Torino, Reggio Calabria, Palermo, Brescia, Firenze; ha appreso di un collaudato intreccio di relazioni personali e politiche tra vicepresidenti ed ex vicepresidente del Csm, membri del Csm, magistrati aspiranti a questo o a quel posto, leader palesi e occulti delle correnti, influenti parlamentari, imprenditori; ha letto di incontri segreti con il procuratore generale della Cassazione, di “caffè esplorativi” tra alcuni consiglieri del Presidente della Repubblica e potenti magistrati che tuttavia nessun ruolo avevano nel Csm; ha letto, infine, di giornalisti e giornaloni chiamati a “riequilibrare” le informazioni “pro” o “contro” quel giudice, per influenzarne, in bene o in male, la nomina.
Ed ancora, quel lettore avrà letto con sgomento di pressioni, promesse, scambi, velati ammonimenti, intrighi, minacce, dossier artefatti per colpire un aspirante e favorirne un altro. E avrà, poi, definitivamente compreso, grazie alle preziose intercettazioni propalate, la totale inconsistenza del consueto “mantra” correntizio secondo cui la selezione dei dirigenti avverrebbe per attitudine e merito (cosa a cui non crede più neppure mia zia Cesarina, notoria “boccalona”). Esemplare, a questo proposito, il passo del colloquio tra Palamara e l’ex membro del Csm Massimo Forciniti, a margine degli intrallazzi notturni per la nomina del successore di Giuseppe Pignatone a procuratore della Repubblica di Roma (che, per i meno avvezzi alle cose giudiziarie, rappresenta il massimo ufficio requirente italiano). Eccolo: “… anche perché Roma e Perugia, a seconda di chi va, l’altro deve essere cioè uno di UNICOST e uno di MI…Se è Viola, su Perugia mettiamo chi diciamo noi. Se è Primicerio, su Perugia mettiamo quello di MI”.
Il prosieguo del colloquio tra i due è illuminante: Forciniti, alla domanda di Palamara sull’affidabilità di Primicerio, nel mentre afferma di non credere proprio che il designato sarà in grado di far “…fare bella figura di immagine”, tuttavia, ed è quel che più conta, “… è uno che va là e gli si può dire quello che interessa, secondo me si può fare… cioè proprio affidabile come uno che è molto legato, cioè uno dei nostri…un uomo di mondo e se puntiamo su di lui queste cose le capisce”.
Insomma, e in breve, il quadro che ne deriva è semplicemente devastante: un Csm svuotato di reale significato poiché ridotto a mesto notaio di accordi segreti presi fuori sede e aventi l’unico fine di assicurarsi dirigenti “addomesticati”.
Tutto ha un costo e a sostenerlo, qui, è l’indipendenza del singolo magistrato, esposto ad un subdolo condizionamento ambientale che lo spinge, per convenienza e ambizione personale, a genuflettersi a logiche di sodalità, ben sapendo che la sua carriera è totalmente rimessa nelle mani di quel “mondo parallelo”. Ed è appena il caso di osservare come tutto ciò rechi grave appannamento alla sua imparzialità. E veniamo ai rimedi.
Da decenni assistiamo alle vuote promesse elettorali delle correnti, nessuna esclusa, di porre fine al mercimonio. Nulla è cambiato, tuttavia: non sono bastati un corposo Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria né favolistiche Carte dei valori dell’una o l’altra conventicola ad arginare il degrado; non sono servite le solenni promesse dei vari presidenti e vicepresidenti del Csm di porre fine allo strapotere di alcune associazioni di diritto privato che si sono impadronite del Csm. Nulla è servito e si è perduto tempo prezioso, con grave lesione della fiducia dei cittadini nell’istituzione giudiziaria. Escluso, quindi, che la magistratura abbia la forza di autoriformarsi, è tempo che il Parlamento affronti con coraggio e determinazione il problema, estirpandolo alla sua radice.
L’indagine perugina altro non ha fatto che confermare ciò che era a tutti noto, specie tra noi magistrati, vale a dire l’esistenza di un “nominificio” saldamente nelle mani delle correnti e dei settori della politica ad esse collegati. La via maestra è, allora, quella di sottrarre al Csm questo meraviglioso giocattolo. E la risposta non può essere che una sola: la rotazione (biennale/triennale) negli incarichi direttivi tra tutti i magistrati dell’Ufficio con adeguata anzianità e che non siano incorsi in sanzioni disciplinari. Una risposta, quella della rotazione, che poggia saldamente su due pilastri costituzionali: l’indipendenza e la pari dignità di funzioni di ogni singolo magistrato, entrambe minacciate non solo dal “mondo parallelo” descritto ma anche da carriere direttive “a vita” destinate surrettiziamente a creare impropri rapporti di subordinazione e gerarchizzazione tra i magistrati.
Sarà poi necessario rivedere profondamente il metodo elettorale del Csm per azzerare l’attuale occupazione correntizia. Certamente valida è la proposta formulata due anni fa da oltre 100 magistrati italiani in favore di un meccanismo elettorale misto, con una prima fase destinata al sorteggio dei candidati in misura multipla rispetto ai componenti e una seconda destinata alla votazione. Il sistema libererebbe il Csm, con la selezione stocastica dei candidati, dall’assoluta occupazione correntizia e al contempo garantirebbe, con la votazione tra i sorteggiati, il rispetto del dettato costituzionale che vuole i componenti del Csm “eletti da tutti i magistrati ordinari”
Ma, soprattutto, ciò garantirà quella giurisdizione senza speranza e senza paura che è la più preziosa garanzia di effettività dei diritti delle persone.
Nulla di tutto ciò si realizzerà senza il contributo convinto di ciascun protagonista dell’esperienza giudiziaria, dottrina compresa. E sarà anche necessario l’appoggio dei settori più avveduti e responsabili della classe politica, della società civile e del mondo dell’informazione. Perché solo con la convergenza di tutti gli uomini di buona volontà sensibili ai destini della giustizia italiana si potrà arrestare il declino… prima che si trasformi in degrado. Tanti magistrati, molto più di quelli che si possano immaginare, sono perfettamente consapevoli di questa necessità e auspicano che una saggia Politica, libera da giochini di potere, abbia il coraggio di alzare lo sguardo al futuro e di fare ciò che deve.
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