La scesa in campo militare della Francia
Così Macron punta a essere il capo politico del Vecchio continente
Criticato in Francia per «l’immobilismo» che sta segnando questa fase della sua seconda presidenza, Emmanuel Macron da tempo sta reagendo con una classica arma del gollismo più puro, il frenetico protagonismo sulla scena mondiale, dall’Ucraina al Medio Oriente.
La presenza francese a difesa di Israele dall’attacco di droni e missili da parte dell’Iran forse non è stata determinante ma certamente agli occhi del mondo ha segnato la scesa in campo non solo politica ma militare di Parigi nel nuovo conflitto. Il presidente francese ha tenuto a sottolineare che la Francia ha effettuato “intercettazioni” (di droni e missili) su richiesta della Giordania e ha accusato l’Iran di aver «deciso di colpire Israele» provocando «una profonda lacerazione» e assicurando di «voler fare di tutto per evitare un incendio» in Medio Oriente: «Abbiamo condannato, siamo intervenuti, faremo di tutto per evitare un incendio e un’escalation. Bisogna isolare l’Iran, aumentare le sanzioni e ritrovare un cammino di pace nella regione».
Nella sempre più preoccupante inerzia dell’Europa, così com’era avvenuto per l’Ucraina, Macron punta ad essere nei fatti il capo politico del Vecchio continente nello scenario mondiale. Due anni fa – tutti ricordano la famosa foto nel treno verso Kiev –aveva accanto a sé Mario Draghi e, in posizione meno forte, Olaf Scholz, che in questo periodo appare meno in grado di assolvere ad una funzione di primissimo piano.
Caso mai è la Gran Bretagna di un pur debole Sunak a fare asse con Parigi in una imprevista ripetizione dello schema post-Seconda guerra mondiale. Ed è stato ancora il presidente francese nel momento della “grande stanchezza” europea nel sostegno all’Ucraina a suonare la sveglia con quella improvvisa evocazione dell’intervento di truppe europee sul suolo ucraino, una sortita che spiazzò lo stesso Zelensky e che peraltro non ha avuto alcun seguito ma che ripropose Macron al centro della questione ucraina. L’inquilino dell’Eliseo d’altronde è profondamente intriso dello spirito gollista che vede la Francia alla guida dell’Occidente in un rapporto dialettico non sempre facile con gli Stati Uniti. Di fatto ha posto la bandiera francese nella trincea più avanzata nella guerra contro quel Vladimir Putin che egli in un primissimo momento tentò di persuadere alla fine del conflitto venendo respinto con perdite dallo zar di Mosca.
Da allora Macron ha capito che Putin è davvero un pericolo mortale addirittura per la nostra civiltà e quest’ansia lo ha indotto alla fuga in avanti con l’idea di mettere gli scarponi sulla terra ucraina: «Se la Russia dovesse vincere, la vita dei francesi cambierebbe. Non saremmo più sicuri», fise in tv il 14 marzo. Il giorno dopo poi ha rispolverato il “formato Weimar” con Germania e Polonia per fare intendere che vuole fare sul serio. E oggi tocca al Medio Oriente, una regione dove storicamente la Francia ha dei problemi. Al presidente francese non sfugge il nesso tra le due grandi crisi del momento. Infatti pochi giorni fa aveva detto che «non si può dire che Israele sia un aggressore, a differenza della Russia».
Dinanzi alla minaccia di Teheran, l’inquilino dell’Eliseo è immediatamente scattato per non essere secondo a nessuno, nemmeno agli Stati Uniti. Israele sa che Parigi è dalla sua parte. Perché un indebolimento dell’Iran e soprattutto una contestuale ripresa in grande stile degli Accordi di Abramo che dischiuderebbero importanti prospettive economiche farebbero molto comodo ad una Francia in difficoltà, preoccupata dal terrorismo internazionale durante le Olimpiadi ad agosto, con mille tensioni interne e un quadro politico incerto. Anche per questo il “gollista” Macron – gollista nel senso di interprete della grandeur francese – sta mettendo tutto sé stesso nella grandi emergenze mondiali.
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