Per il suo legale, “Cosimo Di Lauro o era pazzo o era un grande attore“. Sul primogenito del superboss Paolo, detto Ciruzzo ‘o milionario, in queste ore si sprecano giudizi carichi di retorica. Era un boss, un sanguinario, un uomo che ha ordinato (grazie al racconto di numerosi pentiti) omicidi e stragi di camorra che hanno coinvolto anche persone innocenti. E’ stato l’artefice della prima, sanguinosa, faida di Scampia (oltre 60 morti in appena sei mesi tra il 2004 e il 2005). E’ stato colui che ha bruciato in tre anni l’impero costruito da papà Paolo, mafioso sempre lontano dai riflettori ma in quel periodo latitante e stanato, pochi mesi dopo “F1”, a poche centinaia di metri di distanza.
Cosimo era un criminale che a 32 anni venne arrestato (21 gennaio 2005) nel suo fortino, il rione dei Fiori di Secondigliano, e sepolto al 41bis, a quel carcere duro che equivale quasi a una condanna a morte. E per “F1” così è stato. Giorno dopo giorno, per 17 anni, le sue condizioni fisiche e mentali sono degenerate fino all’epilogo della mattina di lunedì 13 giugno 2022 quando via pec è stato comunicato al suo avvocato, Saverio Senese, la notizia del decesso, avvenuto nella cella del carcere di massima sicurezza di Opera a Milano. Da tempo, per i suoi difensori già a partire dal 2008, era affetto da una grave patologia psichiatrica. Ma le perizie di parte e le istanze presentate dai suoi avvocati sono sempre state rigettate dai giudici che vedevano nel comportamento di Di Lauro jr una simulazione volta a ottenere agevolazioni in carcere. Eppure fino a pochi anni fa Cosimino stava scontando solo una condanna per associazione mafiosa, poi con le ricostruzioni dei vari collaboratori di giustizia sono arrivate le condanne a più ergastoli.
Cosimo con il passare degli anni è stato abbandonato da tutti, lasciato marcire in cella dove si è consumato giorno dopo giorno. Stando a quanto ricostruito, negli ultimi anni “F1” farneticava di giorno e ululava di notte. Era arrivato a fumare quasi 100 sigarette al giorno che – sottolinea l’Ansa- avevano reso i suoi denti neri come il carbone. L’ultima volta che i suoi legali, Saverio Senese e Salvatore Pettirossi, l’hanno visto da vicino risale al giugno del 2019: si recarono nel carcere di Opera dopo aver ricevuto da lui un foglio bianco, una lettera “pulita”. Quando gli avvocati gli chiesero il motivo, Cosimo Di Lauro rispose con frasi farneticanti, prima di salutarli per – disse ai professionisti attoniti – “una riunione importante con alcuni imprenditori che doveva sostenere nella veste di capo di un mondo parallelo”.
Cosimino è morto nell’indifferenza di tutti, anche dei suoi familiari che da tempo – pare – rifiutava di vedere ai colloqui saltuari consentiti ai detenuti reclusi in regime di carcere duro. Non voleva incontrare nessuno. Mangiava poco ed era probabilmente perseguitato dagli orrori commessi in libertà. Per recuperarlo, almeno dal punto di vista mentale, nulla o quasi è stato fatto. Perizie e istanze dei legali a parte, nessuno ha mosso un dito. Nessuna richiesta al garante dei detenuti di Milano negli ultimi anni (Cosimo ha cambiato almeno 5-6 carceri ma era recluso a Opera da diversi anni). Al Riformista Franco Maisto spiega: “Non abbiamo mai seguito la sua vicenda perché non è mai arrivata nessuna richiesta da parte dei suoi familiari o dei suoi legali. Ho controllato nel mio ufficio e da quando era a Milano non ce ne siamo mai occupati”.
Emblematiche in quest’ottica le parole di don Maurizio Patriciello, parroco di frontiera (e sotto scorta) del parco Verde di Caivano, altra zona trasformata dalla malavita in una piazza di spaccio a cielo aperto dopo la repressione dello Stato attuata a Scampia, fortino della famiglia Di Lauro (e non solo di Cosimino). Scrive Patriciello: “È morto. Solo. Dopo 17 anni di carcere duro. Era ancora giovane. È morto. Senza un conforto. Senza una carezza. Senza una preghiera. È morto come un miserabile. Eppure fu ricchissimo. Si chiamava Cosimo Di Lauro. Fu un camorrista spietato, vigliacco, sanguinario. Un vero terrorista. Nessuno mai lo amò. Nemmeno i genitori. Nemmeno i suoi fratelli. Suo padre firmò la sua condanna a morte. Giovani camorristi, fermatevi. Riflettete. Tornate indietro. Pentitevi. Godetevi la vita. Il fantasma di Cosimo Di Lauro vi tolga la pace e il sonno. Fratello Cosimo, so che tanti ti augurano l’inferno. Io, povero prete, ti affido alle mani del buon Dio. Che abbia pietà di te e della tua vita scellerata. E abbia pietà di noi, costretti a convivere con chi, come te, ha insanguinato e insanguina la nostra terra generosa e bella”.
Parole che squarciano la retorica di queste ore che attribuisce a Cosimo Di Lauro la responsabilità di una guerra di camorra avallata in realtà (oltre che dagli stessi Scissionisti) anche dai suoi fratelli (sono 10 i figli di Ciruzzo ‘o milionario e Luisa D’Avanzo, la maggior parte dei quali negli anni successivi ha portato avanti la linea sanguinaria avviata dalla famiglia già negli anni ’90) e dallo stesso papà Paolo, latitante dal 2002 ma arrestato il 16 settembre 2005 (otto mesi dopo “F1”), guarda caso sempre a Secondigliano e a poca distanza da via Cupa dell’Arco e dal Terzo Mondo (o rione dei Fiori). Una retorica che descrive il primogenito come un ragazzo incompreso e voglioso di riscatto criminale, di dimostrare al papà e ai fratelli più piccoli che lui ci sapeva fare.
Cosimo non ha sfasciato nessun impero del clan ma è stato sfasciato dalla camorra che presto o tardi presenta il conto. Faceva parte di un sistema criminale che porta solo a sangue, morte e dolore e che, dagli anni ’70 ad oggi, dà luogo a faide, carneficine e stragi. Cosimino è stato vittima di queste logiche perverse della criminalità organizzata che, vuoi o non vuoi, trasformano umani in persone disumane, disposte a tutto per una vita che viene goduta solo pochi anni prima di finire sotto terra o sepolto in carcere, come Cosimo Di Lauro.
N.B. Nella foto In alto da sinistra: Paolo Di Lauro e i figli Cosimo, Vincenzo e Ciro.
In basso da sinistra: Marco, Nunzio, Salvatore e Raffaele