Non confido nella vecchia idea della nostra Costituzione come “programma” che dia una guida e allo stesso tempo dei limiti al legislatore ordinario. Era un’idea capace di suscitare partecipazione nei primissimi anni della vita repubblicana, allorquando la continuità delle forze politiche che avevano dato vita alla Costituzione formale (ossia il testo entrato in vigore nel 1948) e materiale (unitamente all’originario testo le varie modifiche, integrazioni ed attuazioni realizzate nel corso degli anni), potevano far credere che vi fosse una “continuità” tra il costituente e il legislatore.

Oggigiorno par che ben poco si possa riproporre della storica idea dell’interpretazione costituzionale “magis ut valeat”, ossia al meglio delle sue capacità, affinché l’atto piuttosto che cadere produca effetti. Purtuttavia non significa che la nostra carta costituzionale abbia perso forza e/o attualità. Non ha perduto la sua funzione, anzi l’opposto. Ogni legislatura e il suo parlamento sono liberi di scegliere come tradurre l’indirizzo politico della maggioranza eletta, purché questo non si traduca in un oltrepassare i limiti posti dal testo costituzionale, il quale pertanto delimita le scelte che potrebbero sacrificare gli interessi, i valori e i principi che nella Costituzione trovano tutela. I Padri Costituenti hanno operato delle scelte precise, tese ad armonizzare i poteri dello Stato.

Tuttavia si evidenziano ben due rilevanti conseguenze nell’impostazione, la prima ovverosia che il testo vada preso alla lettera, costituendo un vero e proprio limite da rispettare con rigore, la seconda che il rispetto dei limiti giuridici fissati nel testo costituzionale sia assicurato dai giudici, inclusa la Corte Costituzionale. Questo non significa che spetta loro “amministrare” il conflitto politico, bensì da un lato la coesistenza di molti modi di attuazione o di inattuazione della Costituzione e dall’altro quello di ogni maggioranza politica che deve trovare la sua “rotta di navigazione” tra i limiti segnati dal testo, per evitare di incorrere nel rischio di essere censurata dalla Corte.

Ma può rimanere inattuata? Vi sono ampie zone di mancata attuazione della Carta Costituzionale, in cui il legislatore ha lasciato che sopravvivesse una legislazione risalente ad un’epoca diversa dalla Nostra e attuale. L’esempio più rilevante è dato dalla legislazione penale, la cui sanzione limita il bene supremo della libertà personale, per rispondere all’esigenza di protezione di beni di fondamentale e universale valore, ma allo stesso tempo rimane inattuato l’art. 27, comma terzo Cost., nella parte in cui prevede la funzione rieducativa della pena per il condannato. Dapprima la legislazione fascista e dipoi quella repubblicana fanno fatica a conciliare questo principio, quando la situazione delle carceri è al collasso non solo per il sovraffollamento, ma anche per la marginalità dei programmi tesi al reinserimento al lavoro. Differente in parte è il problema dell’attualità del testo costituzionale e del suo aggiornamento.

È innegabile che la Costituzione sia invecchiata, ma siccome vive delle sue interpretazioni e attuazioni politiche, continua a rimanere aggiornata nei suoi significati, purtuttavia permane l’elenco delle cose che al tempo dei Padri Costituenti non esistevano e che non trovano la relativa regolazione, eppure la Costituzione tiene botta anche nelle situazioni più difficili. Non è certo da respingere l’idea della “manutenzione” del testo, per questo motivo è stato finanche previsto all’art. 138 Cost. la procedura di revisione per piccole o grandi riforme, vedasi l’assurdità del bicameralismo perfetto e il ritocco del numero dei parlamentari che non ha di certo “rimediato” ai difetti del testo originale.

Anche il tema dell’attualissima e annunciata riforma del presidenzialismo all’italiana, fa riflettere su come i tentativi di riforma falliti non abbiano insegnato che il metodo vada cambiato, perché la forza della Costituzione non consiste nella sua rilevanza gerarchica nelle fonti del diritto, ma risiede nel senso di appartenenza che la unisce al popolo sovrano. Ebbene il nostro Bel Paese necessita di riforme per poter rispondere alle sfide economiche e sociali attuali, ma soprattutto rimanere al passo con le sfide che l’attendono per il godimento della pace e della libertà assicurate dalla nostra Costituzione anche alle future generazioni.

Marzia Amaranto

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