Costruire davvero quella Seconda Repubblica auspicata da Craxi e mai realizzata da Berlusconi

Era quarant’anni fa. Era il tempo di Reagan e di Berlinguer. Era quarant’anni fa quando Bettino Craxi denunciò come in Italia il normale processo democratico fosse di fatto impedito dalla dinamica DC-PCI. La definì “democrazia bloccata”: un sistema ingessato da un compromesso continuo fra DC e PCI che di fatto impediva l’alternanza di governo. Dedicò la sua esperienza politica alla costruzione della “democrazia dell’alternanza”.

Sul piano politico ciò presupponeva un ridimensionamento del PCI e un ampliamento dell’area socialista. Riteneva che ciò avrebbe dovuto essere accompagnato dal rinnovamento istituzionale e propose l’elezione diretta del Capo dello Stato. Perché? Per superare l’idea di un Presidente della Repubblica garante di quell’unità nazionale che in realtà si fondava su un patto di potere fra DC e PCI e affermare invece l’idea di un Presidente eletto come testimone della democrazia dell’alternanza. Quarant’anni fa. Craxi, leader visionario, vaso di coccio stretto fra due vasi d’acciaio, fu fatto a pezzi e il suo progetto rimase scritto sulla carta e enunciato nei congressi.

Dieci anni dopo, senza la DC nel frattempo travolta da tangentopoli e senza il PCI obbligato a reinventarsi dopo la caduta del muro di Berlino, in un quadro molto più “aperto”, Silvio Berlusconi raccolse il testimone craxiano e denunciò il “consociativismo” che per decenni aveva tenuto bloccato il sistema democratico. Scese in campo con l’intento di rinnovare le istituzioni e il Paese, ma la sua annunciata “rivoluzione liberale” non ebbe luogo. Le ragioni del suo fallimento sono molteplici. Fu vittima dei suoi conflitti di interesse e della persecuzione giudiziaria di cui fu fatto oggetto, subì un’opposizione feroce da parte di un fronte catto-comunista costituito dagli ex-PCI e da buona parte degli ex-DC, dovette infine inventarsi una maggioranza anomala e del tutto scricchiolante, composta da parti in odio fra loro: gli ex-missini e i leghisti di Bossi. Insomma, non c’erano le condizioni politiche affinché Berlusconi potesse realizzare quanto Craxi auspicava dieci anni prima. Così, la rivoluzione liberale non ebbe luogo e l’impianto istituzionale restò immutato.

Eppure da allora si dice che sarebbe nata la Seconda Repubblica. No, non stiamo vivendo in una Seconda Repubblica, stiamo ancora vivendo nella Prima: la Seconda Repubblica è stata auspicata, raccontata, narrata, ma non è mai nata.

Oggi siamo chiamati a realizzare davvero ciò che è stato solo annunciato, oggi, a distanza di quarant’anni dall’iniziativa di Craxi e di trent’anni da quella di Berlusconi, il rinnovamento istituzionale è divenuto urgente e, probabilmente, finalmente possibile. Sono mature le condizioni politiche? Sì, ma occorre il coraggio della consapevolezza, dell’onestà intellettuale, del superamento dei vecchi steccati. Il rinnovamento istituzionale non può certo essere promosso dagli eredi delle forze che tennero bloccato per decenni il sistema democratico italiano. Non può vedere come protagonisti neppure i nostalgici più o meno dichiarati del regime che la Prima Repubblica soppiantò.

Occorre costruire un movimento di centro, di ispirazione umanistica e liberale, mosso da spirito fortemente innovatore, totalmente svincolato dalla cultura politica della sinistra, che sappia costruire un asse con l’area politica di governo, isolandone le parti più arretrate. Qualcuno avrà il coraggio di mettere mano a un’operazione di tal fatta? Matteo Renzi è forse l’unico in grado di provarci e questa iniziativa potrebbe rappresentare per lui una vera e propria seconda vita politica. Se saprà recidere ogni residuo legame con la cultura politica della sinistra e saprà anteporre la visione alla tattica, questa sua seconda vita potrebbe rivelarsi entusiasmante e la Seconda Repubblica finalmente affermarsi.