Il coronavirus è un nemico invisibile che ci ha privati della libertà e che ci ha resi ancora più diseguali anche fra uomini e donne. Qualunque misura si decida di mettere in atto tendenzialmente non è neutra, e ha ricadute di genere. In raccordo con la Commissione Europea, è necessario affrontare la violenza di genere, e non solo in occasione del 25 Novembre che è una giornata internazionale dedicata alle iniziative di contrasto alla violenza, ora aggravata da situazioni di confinamento, ma soprattutto per le difficoltà incontrate da molte donne in tutta l’Ue nel conciliare il telelavoro o smart working con i compiti di assistenza, o anche per il fatto che sono state le donne a svolgere lavori in prima linea durante la pandemia (come operatrici sanitarie, addette alla cura e all’assistenza dei bambini e degli anziani, lavoratrici domestiche, lavoratrici del settore del commercio, etc.). Dunque la situazione di vulnerabilità si è aggravata.

Le politiche dei governi, il nostro incluso, sono state spesso limitate su una reale valutazione di impatto delle misure adottate in generale, sulle donne invece nessuna verifica. In Italia, una delle prime a essere interessata e una delle più duramente colpite dalla pandemia, si può dire che la crisi ha presentato aspetti molto diversi. Non si è trattato solo di una crisi sanitaria o economica; abbiamo anche dovuto e stiamo ancora affrontando problemi sociali derivanti dalla diseguaglianza. Ancora a tutt’oggi presenti se non addirittura aggravati. E già le donne che interrompono il lavoro dopo la nascita del figlio sono il 23 per cento. La strategia da mettere in campo dovrebbe insegnarci a prevedere strumenti per la resilienza di genere di fronte a crisi future e, in considerazione di ciò, l’Unione europea ha lanciato una serie di iniziative, che, considerata la novità dell’emergenza e la fase dell’epidemia in cui esse prendevano corpo, sono state inizialmente attività legate allo studio e alla ricerca degli effetti della pandemia in relazione al diverso impatto di essa in base al genere.

Eige.europa.eu/topics/health/covid-19-and-gender-equality è la pagina web sviluppata dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (“European Institute for Gender Equality”Eige), che, fra l’altro, contiene una sezione specificamente dedicata ai “lavoratori in prima linea” (“frontline workers”), con riferimento a coloro che prestano la loro attività lavorativa nel settore della salute, per ovvi motivi particolarmente sotto stress durante la pandemia. Appunto la popolazione femminile. In tale contesto, si analizzano i dati che riguardano la maggiore esposizione delle donne ai rischi connessi allo svolgimento delle professioni sanitarie, donne che oggi nell’Ue sono pari al 76% degli impiegati nel settore. La Ue ha presto intuito che un’adeguata comprensione delle differenze di genere nella risposta alla malattia (e con riferimento ai trattamenti sperimentati fino adesso per fronteggiarla) può andare a beneficio di tutti, laddove però la considerazione della dimensione di genere nella gestione della pandemia aiuterebbe a mitigare le più vistose disuguaglianze delle sue conseguenze socio-economiche di medio-lungo termine.

Un Gruppo di esperte (H 2020 Expert Group “Gendered Innovations/Innovation through Gender”) che sta studiando la materia, ha individuato un importante fattore di rischio preso in considerazione per le donne che riguarda le differenze occupazionali, così come la divisione del lavoro e dei compiti di cura nelle famiglie e nelle comunità. Le donne sono impiegate molto più frequentemente nelle professioni ad alto rischio di infezione, compresa l’assistenza sanitaria. Le persone il cui lavoro dipende da uno stretto contatto con gli altri, come chi svolge professionalmente attività di assistenza negli ospedali, nelle case di cura e nella comunità, entrano in contatto diretto con il virus molto più frequentemente di altri. Si suggerisce, pertanto, che persino il design dei dispositivi di protezione individuale tenga conto delle differenze anatomiche tra uomini e donne.

Conclusioni interessanti riguardano i dati sui tassi di infezione da Covid 19, sui sintomi e la mortalità che devono essere disaggregati per sesso e genere per intraprendere soluzioni innovative veramente efficaci. Inoltre la dimensione di genere dell’epidemia in tema di disoccupazione, doveri di assistenza e disuguaglianza sociale associata, nonché come violenza domestica e di genere deve essere presa in considerazione per la gestione a lungo termine della risposta alla malattia e per l’elaborazione di efficaci strategie di rientro economico. Ne deriva che analizzare come tutti i fattori sociali potenzialmente rilevanti interagiscano con il sesso e il genere è essenziale per avere un quadro completo relativo alla pandemia e, quindi, per fronteggiarla con risposte adeguate.

Le iniziative del Governo in questa attuale situazione non sono assolutamente sufficienti tenendo conto dei provvedimenti scarsi in legge di bilancio 2021 per cui si prevedono misere risorse per la popolazione femminile: dal luglio 2021 un assegno unico per le famiglie con figli di cui non si capisce la congruità e i criteri di assegnazione; ancora un congedo di paternità troppo breve (7 giorni), lo smart working nelle aziende private privo delle modifiche essenziali per l’accertamento della corresponsione e misurazione del salario di produttività e del diritto alla disconnessione; il provvedimento di defiscalizzazione al 100% per le aziende che assumono personale femminile solo per il 2021/22 senza nessuna certezza che la Ue consenta l’operazione posto che si configura come aiuto alle aziende proibito dalla stessa Ue; una misura modesta di 20 milioni per l’imprenditoria femminile che è e rimane un ostaggio dei fondi di garanzia complicatissimi da ricevere soprattutto in questo momento di affanno per il settore bancario. Oltre al disconoscimento del ruolo dei caregivers familiari, per la maggior parte sono donne, la cui fatica e supplenza di un welfare inesistente per i figli e i non autosufficienti, ha visto inghiottito nel nulla un Fondo di 70milioni di euro stanziati già da una legge del 2017 messa in sonno.

Next Generation Ue, Mes, Recovery Found, Sure etc… dovrebbero essere occasione per apportare importanti modifiche al quadro normativo applicabile ai fondi strutturali e di investimento europei, per consentire una risposta più efficace al dilagare dell’emergenza economica e della situazione di gap femminile in Italia. Per ora non ci sono proposte concrete pur nella indicazione, manifestata dalla Commissione, che gli Stati membri devono prestare la debita attenzione affinché le operazioni di impiego dei fondi seguano rigorosamente il principio della parità di genere.