Con l’aumento dei contagi di Covid-19 e la relativa ospedalizzazione di chi non si è immunizzato, i posti letti in terapia intensiva vengono principalmente destinati ai malati gravi da Sars-Cov-2. Una scelta obbligata e non solo per il contagio che galoppa, ma anche per far sì che le regioni non entrino in zona arancione o, peggio ancora, in zona rossa.

Ma a fare le spese delle misure messe in campo sono tutti coloro che hanno bisogno di prestazioni del servizio sanitario, come gli interventi chirurgici. La Società italiana di chirurgia (Sic) ha lanciato un allarme per la drammatica riduzione degli interventi che nelle regioni vanno dal 50 all’80 per cento. I medici raccontano di una condizione preoccupante, dove spesso non è possibile operare nemmeno i pazienti con tumore perché non si ha la disponibilità del posto di terapia intensiva nel postoperatorio. “Le Aziende sanitarie sono costrette a destinare ampi spazi di ricovero ai pazienti Covid e le terapie intensive sono in gran parte occupate da pazienti principalmente no vax“, spiega la Sic, che sottolinea come si stia osservando l’aggravamento delle patologie tumorali perché spesso i pazienti arrivano in ospedale quando ormai il cancro è in fase troppo avanzata.

“La riduzione degli interventi chirurgici è drammatica, questa purtroppo è l’altra faccia del Covid”, sottolinea il presidente della Società Italiana di Chirurgia (Sic), Francesco Basile, che ha manifestato la forte preoccupazione per difficoltà presenti in tutte le Regioni. “Posti letto di chirurgia dimezzati, blocco dei ricoveri in elezione, terapie intensive riconvertite per i pazienti Covid, infermieri e anestesisti delle sale operatorie trasferiti ai reparti Covid. In questo modo l’attività chirurgica in tutta Italia è stata ridotta nella media del 50 per cento con punte dell’80 per cento, riservando ai soli pazienti oncologici e di urgenza gli interventi”, sostiene Basile, presentando una situazione drammatica per i camici bianchi e i pazienti, costretti a subire le conseguenze sanitarie della pandemia di Covid-19.

“Nel 2021 non siamo riusciti, nonostante l’impegno delle autorità sanitarie e dei chirurghi a smaltire le liste di attesa accumulate nel 2020 per patologie chirurgiche in elezione – continua – e ciò anche se in molte Regioni si sono organizzate sedute operatorie aggiuntive su specifici progetti. Adesso le liste di attesa torneranno ad allungarsi a dismisura“.

Basile afferma che ci si trova praticamente nella stessa situazione del 2020, “che ha portato come conseguenza 400.000 interventi chirurgici rinviati. Si tratta di un notevole aumento del numero dei pazienti in lista di attesa e, ciò che è più pesante, sottolinea il presidente della Sic, è l’aggravamento delle patologie tumorali che spesso sono giunte nei mesi successivi in ospedale ormai inoperabili”. Infatti, sono proprio i pazienti oncologici che pagano le conseguenze di questa quarta ondata di Covid-19 e della virulenza della variante omicron: il percorso diagnostico dei tumori, dagli screening agli esami diagnostici, subiscono un ritardo che, in certe occasioni, risulta fatale.

L’attività chirurgica programmata negli ospedali pubblici italiani “è di fatto ferma, limitata agli interventi d’urgenza o a salvaguardare quelli oncologici non rimandabili. Ma in queste condizioni si sommano ritardi a ritardi, e la situazione delle liste d’attesa è terrificante”, sostiene invece Marco Scatizzi, presidente dell’Associazione chirurghi ospedalieri italiani (Acoi) all’Adnkronos Salute. 

Scatizzi è infatti preoccupato per l’aggravarsi della situazione epidemiologica legata pandemia covid. “Se una operazione programmata alla colecisti, che di norma si supera con una operazione in laparoscopia e una notte di degenza, viene rimandata per un anno o oltre – rimarca Scatizzi – il paziente si ritroverà con una pancreatite. Una condizione che può diventare invalidante. Quindi abbiamo oggi malattie benigne che si trasformano in patologie letali”.

Redazione

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