Il commento
Craxi, una ferita ancora aperta. Il testamento e l’incubo: “Essere riabilitato da coloro che mi uccideranno”

«In questo processo, in questa trama di odio e menzogne, devo sacrificare la mia vita per le mie idee. La sacrifico volentieri. Dopo quello che avete fatto alle mie idee la mia vita non ha più valore. Sono certo che la storia condannerà i miei assassini. Solo una cosa mi ripugnerebbe: essere riabilitato da coloro che mi uccideranno». È il testamento di Bettino Craxi, un appunto trovato nella sua camera da letto e scritto due mesi prima di morire, il 19 gennaio del 2000. Riparto da qui. Ho attraversato tutti e 25 questi anniversari e anche quest’anno, il mio omaggio alla tomba di Bettino ad Hammamet l’ho fatto e condiviso con Anna Craxi, in solitudine.
E nel frattempo si accavallavano i ricordi dell’uomo e dello statista insieme, ricordi personali e politici di una stagione irripetibile. I primi contatti con Bettino risalgono alla fine degli anni Settanta ma fu al Congresso di Palermo del 1981 – in cui fu formalmente investito – che iniziai a conoscerlo e ammirarlo. Passo dopo passo, prima con «Buongiorno Primavera» e successivamente con i tre eventi del «Garofano Rosa» che ho avuto l’onore di organizzare, riuscii a guadagnarmi la sua fiducia. Fu lui, in occasione del congresso di Verona, a volermi nell’Assemblea nazionale del partito e nel ’93 approdai anche nella Direzione ma oramai era finito tutto. Ero però una semplice militante quando, prendendo il coraggio a quattro mani, gli proposi di portare il “suo” garofano rosso nelle case degli italiani: un merchandising ante litteram, una roba che non si era mai vista dentro un partito politico. Lui intuì la portata innovativa, rivoluzionaria di quel progetto, lo sposò, mi incoraggiò e ne divenne il più convinto testimonial.
Le foto di Craxi in giro per il mondo con i grandi della terra, a cui regalava il Garofano in plexiglass che avevo fatto realizzare mi inorgogliscono ancora. E poi fu sempre lui a darmi il benestare per il primo Premio Marisa Bellisario. Lui a chiamarmi e farmi i complimenti all’indomani delle prime edizioni. Se Bettino non avesse avuto fiducia in me, chissà… Tredici anni fa, gli dedicai un capitolo intero del mio primo libro “Ad alta quota. Storia di una donna libera”. Chi lo ha letto, ricorda che lo definii un amico vero, sincero, premuroso, sensibile. Là racconto l’uomo e la sua profonda umanità e generosità, lontana anni luce dalle fandonie che continuavano a circolare sul suo conto. «Non rinnegherò mai la sua amicizia perché ho avuto la fortuna di conoscere il vero Craxi: non il politico, non l’uomo potente adulato negli anni d’oro della Milano da bere, non il Presidente del Consiglio rispettato in tutto il mondo. No, io ho conosciuto l’uomo nella sua profonda umanità quando quasi tutti si erano dileguati. Quando era iniziata la rovinosa discesa.
Quando molti si affannavano a negare anche solo di averlo conosciuto. Sono orgogliosa di essere stata tra quei pochi rimasti fedeli fino alla fine: anzi, è proprio durante il suo esilio che il nostro rapporto si è consolidato. Le continue trasferte ad Hammamet hanno scandito momenti irripetibili della mia vita». Ripenso ancora con affetto a quando portai lì per la prima volta mio figlio Giovanni, ai tanti pranzi con lui e Anna, in quella Tunisia che aveva per lui un’autentica venerazione; alle incursioni al mercato del pesce di Hammamet; alla festa a sorpresa che organizzò per un mio compleanno, ai tanti regali, simbolici ma preziosissimi per me. Una mattina, per esempio, mentre passeggiavano nel suk di Hammamet, si fermò di scatto di fronte a un orologio rosso con la mano di Fatima nel quadrante, lo comprò e regalandomelo disse: «Così, quando sarai in Italia lo guarderai e ti ricorderai di tornare a trovarmi». E quanti amici gli portai ad Hammamet, quanti “ricongiungimenti” commoventi e quante lettere di Bettino portai in Italia! In quel mio primo libro espressi la certezza che la Storia avrebbe riabilitato la sua figura e oggi, finalmente, il Paese sembra pronto a rielaborare con onestà intellettuale una delle pagine più buie della nostra storia politica, quella che fece di Bettino Craxi il capro espiatorio, cancellandolo con un colpo di spugna senza rimorsi o pentimenti. E forse le parole più nette, e pesanti, sono quelle usate dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per descrivere quello che Craxi rappresentò nella storia politica italiana.
«Ha impresso un segno negli indirizzi del Paese in una stagione caratterizzata da grandi trasformazioni sociali e da profondi mutamenti negli equilibri globali. Interprete autorevole della nostra politica estera europea, atlantica, mediterranea sostenitrice dello sviluppo dei Paesi più svantaggiati, aperta al multilateralismo, lungo queste direttrici ha affrontato passaggi difficili, rafforzando identità e valore della posizione italiana. Le politiche e le riforme di cui si fece interprete sul piano interno determinarono cambiamenti che incisero sulla finanza pubblica, sulla competitività del Paese, sugli equilibri e le prospettive di governo». Non credo ci sia altro da aggiungere se non che rimane la sensazione di percorso incompiuto di trasformazione del sistema politico e di un rapporto tra poteri dello Stato ancora percorso da tensioni irrisolte. E resta la nostalgia di una leadership Politica – con la P maiuscola – in un tempo in cui le posizioni politiche si misurano in like (e chissà che ne penserebbe Bettino dei social). Poco o nulla, invece, ho letto sul contributo, enorme, di Bettino Craxi alle battaglie femminili. Quella per le quote, prima di tutto: il PSI fu il primo partito italiano a inserirle nel proprio statuto, facendo passare le dirigenti nazionali da 4 a 40. Penso poi al divorzio e all’aborto, che entrano nel Paese grazie a leggi socialiste – e non a referendum radicali – o all’impegno contro la violenza di genere.
E poi la novità più dirompente, fortemente voluta da Craxi: la prima Commissione Nazionale di parità che introdusse in Italia il concetto, allora rivoluzionario, di azioni positive. Rileggere oggi i 15 punti del programma delle donne socialiste approvato nell’82 mi ha restituito la grandezza di quel progetto riformista. Si parla di cittadinanza e adozione, di legislazione fiscale a favore del genitore e delle famiglie di fatto – 40 anni fa!! – di nidi familiari sul modello europeo, di formazione permanente e pure della presenza nei commissariati di personale adeguatamente formato per l’accoglienza di donne vittime di violenza. E si chiede l’istituzione di un organismo governativo dotato di mezzi e poteri per l’applicazione e le opportune modifiche delle leggi di parità. Quel lavoro appassionato e visionario ha posto le premesse di tutto quel che è venuto ma che non è riuscito a esserne all’altezza. «Una sera al tramonto, visitammo la Medina. Ci fermammo in un piccolo bar affacciato sullo storico cimitero dove oggi riposa Bettino. ‘Io sarò sepolto qui guardando l’Italia’, mi disse dopo un lungo silenzio, carico di significato. L’Italia lo aveva tradito ma lui l’amava ancora infinitamente». La ferita è ancora aperta.
Lella Golfo, Presidente Fondazione Marisa Bellisario
© Riproduzione riservata