Le polemiche sull'affare svizzero
Credit Suisse e “l’affare della vita” di Ubs, i punti oscuri dell’acquisizione: dai bond azzerati alle regole aggirate
Secondo Davide Serra, founder e ceo di Algebris Investments, per Ubs l’acquisizione della Credit Suisse rappresenta “l’affare della vita”. E in effetti i principali analisti concordano: l’accordo tra i due istituti di credito, che diventerà operativo salvo imprevisti nei prossimi tre mesi, porterà alla creazione di un gigante con l’esborso da parte di Ubs, già prima banca del Paese elvetico, di “soli” tre miliardi di franchi svizzeri, circa 3,35 miliardi di euro.
Un prezzo conveniente per rilevare il suo principale competitor interno, le cui azioni nell’ultimo anno avevano perso oltre il 70% del loro valore, spinte giù da una gestione da anni caotica e fallimentare in particolare con spericolate quanto sbagliate operazioni nell’investment banking, che aveva spinto Credit Suisse a realizzare lo scorso anno la sua perdita più grande dalla crisi finanziaria del 2008, pari a 7,3 miliardi di dollari, di fatto erodendo i guadagni di un decennio.
Al di là dell’aspetto economico, l’acquisizione-fusione tra le due principali banche svizzere porta con sé interrogativi e critiche. A partire dalle regole aggirate per consentire l’accordo, in primis quelle antitrust. Come ricorda Federico Fubini, la nuova entità avrà in Svizzera una quota di mercato pari a due terzi dell’intero settore delle banche significative: “Nessuna autorità antitrust di un Paese democratico accetterebbe il formarsi di un potere economico così ampio nelle mani di una sola impresa”, sottolinea il giornalista sul Corriere della Sera.
Non è l’unica forzatura avvenuta per consentire l’acquisizione da parte di Ubs della sua concorrente. La fusione è infatti avvenuta senza passare da un voto di approvazione nelle assemblee degli azionisti, decisione presa con l’appoggio del governo svizzero, dai manager dei due istituti di credito e dai regolatori della Finma, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari svizzeri.
C’è quindi il caso più scottante, ovvero la clamorosa decisione di far azzerare di valore di 16 miliardi di dollari di obbligazioni di Credit Suisse, le AT1 (Additional Tier 1, ndr), facendo perdere così ai loro detentori i soldi. In “tempi normali” alti rendimenti perché legate ad un alto rischio, non sono infatti tutelate in alcun modo dalle regole bancarie in caso di fallimento dell’istituto di credito: ed è proprio qui il problema, dato che la Credit Suisse non è realmente fallita, dunque non si spiega l’azzeramento del loro valore, se non per migliorare il bilancio di Credit Suisse prima di venire inglobata dalla rivale Ubs.
Ad approfittare di quanto deciso sulle obbligazioni AT1 sono paradossalmente gli azionisti, che solitamente dovrebbero al contrario rispondere in prima istanza della crisi di una azienda, sia una ‘normale’ impresa o una banca come nel caso di Credit Suisse. In questo caso, pur con una consistente perdita del valore dei loro titoli, gli azionisti di Credit Suisse si trovano ora soci di Ubs, mentre i detentori di obbligazioni AT1, ossia creditori, perdono tutto.
E c’è chi non manca di sottolineare come a guadarci, o quantomeno non perdere tutto da questa situazione, siano i due soci forti di Credit Suisse: da una parte la Saudi National Bank, dall’altra la Qatar Authority, in possesso rispettivamente del 10 e del sette per cento delle azioni dell’istituto di credito rilevato da Ubs.
Tutte decisioni che sono state avvertite, anche dai mercati, come un ribaltamento delle regole: per questo i titolari delle obbligazioni AT1 azzerate sarebbero pronti a fare causa. Spiega il Corriere della Sera che lo studio legale Quinn Emanuel Urquhart & Sullivan ha messo insieme un team di avvocati, provenienti dalla Svizzera, dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, che stanno già discutendo con alcuni detentori di bond del Credit Suisse sulle possibili azioni legali a loro disposizione
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