L’opposizione dei Governi dei “Paesi del Nord”Germania compresa – all’emissione di titoli di debito pubblico dell’Euroarea per far fronte alla crisi coronavirus è priva di giustificazioni razionali: se il fattore fondamentale che la genera è in grado di colpire in modo simmetrico tutti gli Stati membri, è addirittura ovvio che una reazione asimmetrica (ciascuno Stato usa gli spazi fiscali che ha; e quelli che ne hanno poco chiedono l’intervento del Mes, a condizionalità data), non è in grado di condurre l’Area fuori dalla tempesta. Quindi, bisogna insistere fino a riuscire a convincere, nel poco tempo disponibile. Non abbiamo alternative, perché “fare da soli” – se si esce dal teatro della propaganda e ci si misura con la difficoltà del contesto reale – non è una alternativa: è il suicidio.

Lo prova ciò che è accaduto nelle ore successive alla disastrosa frase di Lagarde (non è compito della Bce ridurre lo spread), che esattamente questo voleva dire: ognuno per sé. I mercati ne hanno preso immediatamente atto e lo spread è schizzato verso l’alto. Quello tra i titoli decennali italiani e tedeschi, prima di tutto. Ma, attenzione: dall’inizio della crisi coronavirus tutto il sistema degli interessi sui titoli del debito pubblico degli Stati membri dell’Euroarea si è mosso verso l’alto: quello sul Bund decennale tedesco è salito di 60 punti base; quello della Francia di 80.

Se c’era bisogno di una conferma circa il carattere simmetrico della crisi, questi spostamenti in un’unica direzione ce lo confermano. Gli investitori e i risparmiatori hanno capito che il deficit e il debito di tutti gli Stati si alzeranno enormemente, per finanziare prima l’emergenza sanitaria, poi la sopravvivenza e infine la ripresa dell’apparato produttivo europeo, da sostenere sia dal lato della domanda, sia dal lato dell’offerta. E, ovviamente, hanno segnalato di non essere disposti a farlo senza chiedere che, a debito e a conseguente rischio più elevati, corrisponda un più elevato rendimento.

Dimostrando coi fatti – anche alla sua Presidente (?!) – che la Bce deve (ed è in grado di) garantire “costi quel che costi” una omogenea trasmissione all’intera economia dell’Area della sua politica monetaria, il Consiglio Direttivo ha approvato un programma aggiuntivo di acquisti 2020 per ben 750 miliardi. E, soprattutto, ha deciso di cancellare il vincolo a che gli acquisti di titoli di ciascun Paese siano tenuti in limiti direttamente proporzionali alla dimensione relativa dell’economia del Paese stesso (per l’Italia, il 13%). In sostanza, nel Consiglio Bce si è formato un ampio consenso sulla necessità di uscire da un vincolo che avrebbe impedito, nel caso del concentrarsi delle difficoltà sul debito di un Paese membro- nel contesto di una più generale crisi dell’Area euro-, di incrementare il volume degli acquisti Bce di titoli di quel Paese, “per quanto necessario e per tutto il tempo necessario”.

Il passo è davvero enorme, e ha potuto essere compiuto -a mio parere – in virtù del fatto che questa volta il fattore originario della crisi colpisce, almeno potenzialmente, tutti i Paesi membri in modo simmetrico, così convincendo anche i più riottosi membri del Consiglio di una verità di cui in passato non avevano voluto prendere atto: in un contesto generale di recessione, l’intero edificio dell’euro può rovinare su se stesso se si abbandona al suo destino anche uno solo dei Paesi membri. Il quale Paese – sia chiaro – non ha alcun diritto di chiedere che gli organismi comunitari paghino al posto suo i debiti eccessivi contratti in passato e male usati (il rischio paventato dai Paesi nordici, non senza qualche buona ragione: si veda la legge di bilancio gialloverde 2019-2021).

Ma ha il diritto (e anche il dovere, se l’idea del “bene comune” non è del tutto smarrita), di chiedere che l’intera potenza degli organismi comunitari venga impiegata quando l’incendio che lo minaccia non ha nulla a che vedere coi suoi debiti passati, ma nasce da un agente esterno e appare in grado di aggredire l’intero edificio comunitario.
Con questa decisione la Bce ha compiuto un passo molto importante verso una concreta forma di “solidarietà monetaria”, perché – scegliendo di poter differenziare il programma di acquisti in rapporto alle esigenze del singolo Paese -, ha affermato di fatto la possibilità di monetizzare una certa componente del debito pubblico.