L’appello del premier Conte è arrivato fuori tempo massimo. Nella tradizionale forma dell’annuncio fatto per caso e passeggiando per strada. E dopo troppe mosse vissute come “divisive e ostili”. Non poteva quindi essere sufficiente, per quanto drammatizzato in zona cesarini, a cambiare o fermare il percorso di Italia viva. Alle 18 e 15 minuti il senatore Renzi raggiunge l’auletta dei gruppi alla Camera, la più grande di tutto il Parlamento, si siede tra le ministre Bonetti e Bellanova e il sottosegretario Ivan Scalfarotto e annuncia l’avvenuta consegna al Presidente del Consiglio delle dimissioni della piccola ma vivace pattuglia di Italia viva nel Conte 2.

La crisi di governo, messa sul tavolo da oltre un mese, è stata tecnicamente aperta ieri pomeriggio. Adesso tutti gli scenari sono possibili: un Conte ter con Italia viva su basi, programmi e squadra diversi e soprattutto chiari; un Conte ter con l’ingresso di una nuova formazione al Senato, i Responsabili travestiti da Maie («ma non ci sono, non li hanno trovati» ha detto Renzi); un nuovo governo con un premier diverso («non abbiamo pregiudiziali su Conte ma non c’è un solo nome»). L’opzione più lontana è il voto anticipato. Tutto adesso dipende da quello che deciderà di fare Conte: può congelare le dimissioni delle ministre e prendere tempo per valutare il da farsi; può salire al Colle, dimettersi e tentare una nuova avventura. È una crisi al buio. Quella che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva pregato che non si verificasse. «Fiducia incrollabile in Mattarella e nel suo ruolo di arbitro» mette in chiaro Renzi «ma il senso di responsabilità sta proprio nel cercare di risolvere i problemi e non nasconderli». L’ex premier quindi chiude ma al tempo stesso apre. Non è ancora una partita chiusa.

Nell’auletta dei gruppi c’è tutto lo stato maggiore di Italia viva: Boschi, Giachetti, Faraone, Migliore, Nobili, Marattin, Ungaro, Lucia Annibali. Facce tese. Non è stata una decisione facile con l’Italia fuori in mezzo alla pandemia e tutti che gridano «è da irresponsabili aprire una crisi adesso». Non è stato facile decidere di andare fino in fondo. Ma è stato necessario per spazzare via i quintali di ipocrisia che avvolgono da mesi questo governo e questo esecutivo da molti criticato sotto banco ma poi tenuto in piedi perché «non ci sono alternative». Non è facile spiegarlo. Ancora meno farlo capire. Renzi ci prova così: «Non vogliamo aprire la crisi ma risolvere i problemi. Ci vuole coraggio e molta dignità nella scelta di dare le dimissioni. Ma la crisi è aperta da mesi come tutti ben sanno. La politica è risolvere i problemi, non nasconderli e lo si deve fare rispettando le regole della democrazia, che non sono i like, e della nostra Carta costituzionale che non è una storia su Instagram». Era necessario e non più rinviabile «fare chiarezza una volta per tutte sui contenuti e sui metodi di questo governo». Rivendica ad Italia Viva il ruolo di «costruttori, lo siamo orgogliosamente, ma non si costruisce sulla sabbia».

È tutto scritto nella lettera recapitata a Conte e firmata da Bellanova, Bonetti e Scalfarotto. Tre motivi, uno di seguito all’altro. I “metodi” per cui questo governo ha infilato una serie troppo lunga di violazioni delle regole e delle regole del gioco che però «sono i cardini della democrazia». Il Conte 2 è nato «per non dare pieni poteri a Salvini e non può accettare di dare pieni poteri a Conte». Il “merito” per cui da luglio in poi sono state sbagliate troppe cose: scuola, cantieri, trasporti, la sanità sempre in affanno per cui il risultato è che siamo il paese «con più morti per Covid, meno giorni di scuola per i nostri ragazzi e il Pil crollato assai di più che negli altri paesi europei». E infine le cose da fare, i progetti, i programmi, i cantieri. In una parola il Recovery plan che ha fatto esplodere la maggioranza. «È migliorato è vero, molto – osserva Renzi – e di questo ci dovrebbero tutti ringraziare ma è ancora insufficiente e non solo per il Mes». Possibile, ad esempio, che sette mesi dopo l’approvazione del decreto Semplificazioni è ancora tutto fermo, nessuna grande opera è stata cantierata, perché non sono stati decisi i commissari?

Teresa Bellanova, combattiva capodelegazione e ministro dell’Agricoltura a cui la stampa amica del premier ha riservato fin dal primo giorno di governo un trattamento a dir poco incivile, può orgogliosamente dire: «Noi non abbiano aperto la crisi, l’abbiamo chiusa. Adesso, fatta chiarezza, i costruttori possono entrare in campo». Per capire che succederà adesso occorre tornare indietro all’ora di pranzo. Quando Conte sale al Quirinale. Il Capo dello Stato osserva da giorni e settimane con grande preoccupazione e nervosismo le tensioni nella maggioranza. Martedì, quando Conte ha strappato dando l’aut-aut a Italia viva facendo saltare la trattativa in corso, il Quirinale ha cercato di riprendere in mano la situazione. Ha parlato con tutti in questi giorni Mattarella. Anche con Renzi. L’incontro con Conte doveva essere l’ultimo tentativo per evitare la crisi. L’aut-aut a Renzi è stato giudicato un “errore politico” e giustificato come atto “difensivo” dopo il pressing dei renziani. Dunque occorreva un atto riparatorio. Distensivo. Così il premier ha fatto sapere che sarebbe tornato a piedi a palazzo Chigi. Nel lessico contiano, significa “incontro i giornalisti e parlo”. Così è stato, per strada, all’angolo di piazza del Parlamento, un vero assembramento di telecamere. Sei minuti in cui ha cercato di riprendere in mano la situazione offrendo ai microfoni alcuni concetti: «Mi auguro che Matteo Renzi non faccia dimettere le ministre»; «da adesso lavoriamo tutti insieme a un patto di legislatura in modo leale e costruttivo»; «fino all’ultimo lavorerò per la coesione di tutti»; «Italia viva avrà sempre la mia massima attenzione se pone questioni in modo costruttivo e con la volontà di trovare una soluzione»; «serve una maggioranza solida, non si possono raccattare voti qua e là».

Un’apertura netta ma che, se possibile, ha irritato ancora di più i renziani. «Se il presidente Conte vuole aprire un tavolo per discutere sui fatti e sulle cose noi ci siamo. Ma lo faccia, non basta più dirlo», ha detto la ministra Bonetti. Alle nove di sera tutto tace. Da palazzo Chigi non escono veline. Il Colle ha spento le luci. In realtà Renzi chiude ma al tempo stesso apre. «Spetta a Conte decidere quali sono gli sbocchi della crisi. Io ho messo un solo paletto: no ribaltoni e no alla destra sovranista e antieuropeista. Poi siamo pronti a discutere di tutto: un governo con la stessa maggioranza, un governo tecnico oppure andare all’opposizione. Dipende dai programmi, dalle priorità, dalle cose da fare e quando. Non ci interessa il nostro destino ma quello del Paese». La notte porterà consiglio. Se diamo retta alle sue parole, il premier dovrebbe congelare le dimissioni delle ministre, chiamare i segretari dei partiti della sua maggioranza, che non sono un fastidio ma i suoi azionisti di maggioranza, riunirli intorno a un tavolo e decidere una volta per tutte la squadra migliore e il progetto migliore per far ripartire il Paese.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.