È sempre al telefono, ma non più con Mastella. Carlo Calenda è in fermento, è di quei manager che nelle aziende danno il meglio quando c’è tempesta. Twitta su Navalny, da rilasciare subito. Poi risponde a Bettini. “Europeisti marginali? Lo sarai tu”. Passa in rassegna i dati di Azione: “Stiamo a +40% rispetto all’anno scorso con il tesseramento”, dice sottovoce, quasi incredulo. Poi guizza: “Eccomi qua”.

Dov’è Azione, in questo marasma?
Noi siamo gli unici che stanno dove stavano. In una posizione di opposizione costruttiva e propositiva, perché il momento lo richiede. Continuiamo a dare suggerimenti e a fare proposte, e lavoriamo al futuro: insieme con Più Europa, movimenti e personalità daremo vita a un soggetto liberaldemocratico, europeista, garantista che si presenterà alle prossime elezioni con una lista unica.

E anche con Italia Viva?
No. E non perché abbia qualcosa contro Italia Viva, ma perché penso che la leadership di Matteo Renzi si è mostrata randomica, tattica e non chiara. E per noi sono più importanti le cose che si fanno rispetto alle cose che si dicono. La gestione di questa crisi è stata molto caotica, per noi è molto difficile ora avviare un percorso di lavoro con Renzi. Anche perché lui non lavora bene con nessuno, ed è uno che ogni due giorni cambia idea.

Lo scenario rimane aperto, la crisi è lontana dal risolversi.
Quello che vedo è che il governo cercherà – attraverso l’allargamento della compagine ministeriale e dei sottosegretari – di blindarsi, non avendo una maggioranza, almeno con una minoranza più ampia. Ma soprattutto questa crisi è una crisi di funzionamento dello Stato, che non funziona più. Non è in grado di organizzare una risposta, ed è la ragione per cui abbiamo così tanti morti e un crollo del Pil. Abbiamo bisogno di un dream team guidato da un presidente del Consiglio dallo standing altissimo.

Ha un nome in mente?
Mario Draghi, per dirne uno. Ma c’è tanta gente capace e in gamba che potrebbe coprire quel ruolo. Il problema è che i partiti non mollano. Pd e Cinque stelle compongono ormai una tribù. Lega e Fratelli d’Italia un’altra tribù. E ciascuna delle due regge in funzione dell’esistenza dell’altra. Infatti non vanno orgogliosi delle proprie politiche, si preoccupano perlopiù di stigmatizzare l’avversario. E non credo che sia quel che serve all’Italia.

Sareste disponibili in un governo autorevole, in un’ampia coalizione?
In uno sforzo collettivo di ricostruzione al quale prendono parte le forze politiche costruttive, con una personalità autorevole sul piano internazionale noi ci saremmo, certo.

Giustizia. Mercoledì prossimo arriva la relazione di Bonafede, che farete?
Alla Camera lo aspetta Enrico Costa, nostro responsabile della giustizia. A Bonafede votiamo contro, ci sarebbe da accoglierlo con i pomodori.

Biden invita gli americani a riunirsi, a fare pace. Lei parla di due tribù contrapposte. Ci stiamo polarizzando anche in Italia?
Tutte le democrazie si stanno polarizzando, è un processo che riguarda tutti i paesi europei (forse con l’eccezione della Germania). Tra le risposte possibili c’è quella che i partiti eredi delle grandi famiglie europee mettano un argine ai populisti e governino insieme. Ma questo in Italia – si guardi Berlusconi chiuso a difesa del suo fortino – per ora non succede.

E il centrosinistra dove va?
Siamo al paradosso per cui gli elettori del Pd ormai pensano che Conte sia molto meglio di Zingaretti, che però sarebbe il loro segretario. Ed è lui ad aver convinto tutti, con l’assenza di una sua azione politica, che il vero punto di riferimento dei democratici sia Giuseppe Conte. Costruendo la nuova area liberaldemocratica, riformista e pragmatica obbligheremo il Pd a staccarsi dai populisti e Forza Italia a separarsi dai sovranisti.

A proposito di famiglie politiche, siamo a cento anni dalla nascita del Pci. Cosa è stato?
È stato cose molto diverse. La scissione di Livorno ha determinato la nascita di un massimalismo che ha contribuito al successo del fascismo, perché il passaggio dal riformismo alla suggestione rivoluzionaria ha prodotto la violenza del biennio rosso e la conseguente presa di distanze di moderati e liberali che alla fine hanno permesso al fascismo di arrivare al potere.

E dopo la Liberazione, fino alla Bolognina cos’è stato il Pci?
Non ne ho una visione idilliaca, diciamo. Il nostro Partito Comunista ha fatto tardi i conti con la storia, fino agli anni Ottanta per i leader del Pci l’offesa più grave era essere chiamati “socialdemocratici”. Hanno costruito una visione duale, manichea del mondo, in cui loro interpretavano i buoni, la parte sana, la superiorità morale.

Un’eredità anche del Pd?
Esattamente. Se lei vede le cose che dice Zingaretti, sono cose generiche: il green, dalla parte delle persone, eccetera: tutti slogan che non significano nulla. Perché sostituisce la morale alla politica. Il messaggio del Pd è sempre che loro sono i buoni. Conta la superiorità morale della tribù, a prescindere da quel che fa. Loro si tengono i decreti Salvini? Poco importa, mica si scende in piazza contro il Pd, perché loro sono i buoni. Incarnano un appello generico ai valori positivi senza dare una risposta concreta in termini di progetto politico.

Per la sua candidatura non hanno cambiato idea, su Roma?
Assolutamente no. Stanno cercando tutti i modi per non appoggiarmi. Ora cercano di offrire una alternativa a Virginia Raggi per mettersi d’accordo tra Pd e Cinque Stelle su Roberto Morassut o Pierpaolo Sileri. Una strada funzionale al disegno di una omologazione completa tra elettori dem e grillini, e forse un problema per i riformisti, che non vogliono e non possono mandare giù tutto.

Il suo progetto parla a loro?
Ai riformisti dico: noi ci differenziamo, stiamo costruendo una casa insieme a PiùEuropa e a chi vuole scommettere su un soggetto post-ideologico europeista, riformista, garantista. Nannicini, Quartapelle, Gori, ma anche Mara Carfagna e Deborah Bergamini, voi che fate?

Che sentore ha?
Invito tutti ad avere più coraggio. Questo è il momento. Incontro migliaia di persone, sento molto consenso, c’è un’onda montante che ci riconosce un modo di fare politica più serio, pragmatico, non ideologico. Certo, è tosta. Perché il richiamo delle tribù è molto forte. Ma le persone che ci seguono aumentano in continuazione. L’ultimo mese si sono iscritti ottomila cittadini, romani ma non solo. Da tutt’Italia. Abbiamo rimesso in moto la passione civile che qualcuno aveva provato a narcotizzare.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.