Il presidente della Repubblica ha osservato a ragione che il tempo per la formazione del governo che ha giurato domenica mattina è stato breve. Giorgia Meloni, nonostante le difficoltà – talvolta veri e propri litigi – sollevati dai suoi alleati nei giorni scorsi, ha messo insieme una lista di ministri che rispecchia in buona parte le sue ambizioni iniziali. Certo, è dovuta scendere a compromessi, specie per alcuni dicasteri, ma nell’insieme il risultato pare in buona misura corrispondere a ciò che ci si attendeva (con qualche significativa eccezione).

Sulla compagine che si è formata sono apparsi numerosi commenti e valutazioni. Ma solo la prova del fuoco dei primi provvedimenti concreti (che, specie in alcuni settori, appaiono molto urgenti e, al tempo stesso, difficili) potrà consentire di dare un giudizio. È evidente che tutti i nuovi ministri dovranno mostrare nei prossimi mesi la necessaria competenza che si attende da loro nel gestire i problemi complessi che l’Italia deve affrontare, in particolare sul fronte economico per via dell’inflazione e dei costi dell’energia e su quello delle relazioni internazionali, contraddistinte dal violento conflitto sul fronte orientale del vecchio continente di cui non si intravede purtroppo una fine rapida. Il nostro Paese (o la nostra “nazione”, come preferisce dire Meloni) è sempre più caratterizzato da una crescita di disuguaglianze e di disagio per certi strati di popolazione, che rischiano di portare già nei prossimi mesi a vere e proprie proteste sociali: si vedrà se il governo riuscirà a fronteggiare (e magari a contribuire ad attenuare) questa situazione problematica e se, al riguardo, ricorrerà o meno a quello scostamento di bilancio tanto invocato da alcune sue componenti e parimenti osteggiato da altre nonché accuratamente evitato dalla compagine uscente.

Ma ciò si è ottenuto anche – forse soprattutto – grazie alla presenza di Mario Draghi al vertice del precedente governo, che ha caratterizzato fino all’ultimo giorno una fase della vita politica in cui l’Italia ha svolto un ruolo di primo piano, in particolare nell’Unione Europea, grazie alla reputazione e alla leadership dell’ex presidente della Bce, che hanno permesso al nostro paese di svolgere spesso una funzione di guida nei confronti dei partner del vecchio continente. Non sarà facile, nonostante le promesse, mantenere la stessa reputazione e lo stesso ruolo per i vertici del nuovo governo, e quindi difendere gli interessi dell’Italia, come è accaduto nel corso dell’ultimo anno e mezzo. Anche se le dichiarazioni recenti di Giorgia Meloni e la scelta di ministri come, tra gli altri, di Giorgetti e Crosetto, sono il segno delle buone intenzioni di (almeno parziale e specie sul piano economico e internazionale) di “continuità” da parte di colei che succede a Draghi.

La quale si evincerà sia dalle scelte di politica economica, sia dalla collocazione internazionale. Qui la fermezza, più volte sottolineata sulla posizione “senza se e senza ma” a favore dell’Ucraina e del supporto per quest’ultima (che pure, con tutta evidenza, non convince alcune componenti dell’esecutivo) sarà essenziale (anche – e nonostante – che dai sondaggi emerga una sorta di “tiepidezza” dell’opinione pubblica a questo riguardo). Si è discusso molto del ruolo nella compagine di governo dei “tecnici” – termine con cui si intende membri dell’esecutivo che non vengono dalla carriera politica, ruolo che è stato contrapposto a quello di questi ultimi. Nell’esecutivo che è stato appena formato, i “tecnici” sono in numero relativamente limitato, più di quanto alcuni si aspettassero. Questa circostanza è forse fisiologica in un governo marcatamente “politico” e che vuole rispettare gli orientamenti emersi dalle recenti elezioni. Ma è comunque significativo osservare quanto emerge da un sondaggio recente di Euromedia (condotto da Alessandra Ghisleri) dal quale risulta che “il 73,8 dei cittadini si sentirebbe rassicurato dalla presenza di tecnici nel futuro governo – quello che si stava preparando – mentre l’hard skill deluderebbe circa un elettore su quattro (26,2%)”.

I cittadini, insomma, si fidano ancora poco dei politici tout court e, anche date le passate esperienze, la preferenza per un governo più “politico” parrebbe più sentita dai politici stessi che dalla maggioranza degli italiani. Sulla base di quanto è emerso in questi ultimi giorni, sembrerebbe che l’esecutivo non si troverà di fronte ad una opposizione in grado di complicarne più di tanto la vita, come accade per esempio in Francia dopo le ultime elezioni legislative di qualche mese fa. Il nostro primo ministro (così sembrerebbe preferire essere denominata Meloni) dovrà quindi piuttosto guardarsi prevalentemente dai suoi alleati, come si è già visto nella fase della formazione del governo. Se la democrazia dei sondaggi, che ha ormai preso in larga misura il posto di quella dei partiti, continuerà a far registrare un ulteriore declino della Lega di Salvini, nasceranno certamente turbolenze in seno all’alleanza di governo e Giorgia Meloni dovrà confermare le qualità che ha manifestato negli ultimi giorni (E che, come illustrato dal sondaggio Demos di Ilvo Diamanti, hanno comportato anche un incremento di popolarità).

Queste saranno necessarie, inoltre, per combattere i pregiudizi negativi che esistono in diversi paesi occidentali nei confronti del successo di FdI, a causa delle posizioni passate del primo ministro. Questi dubbi, però potrebbero essere temperati da una recente analisi condotta da Ipsos che mostra come l’immagine di una Italia in cui la maggioranza degli elettori di Meloni si identificherebbero con la destra radicale sia errata. Risulta infatti che più della metà (52%) dei cittadini che hanno scelto di votare per FdI si definisce di centro-destra o di centro, mentre solo il 31% si colloca a destra tout court. Di conseguenza, se la Meloni vorrà tenere conto del reale posizionamento dei suoi elettori, dovrà – come ha comunque più volte annunciato – adottare politiche più “moderate” che estreme. Non è sulla base di queste ultime (né su quella di alcune sfortunate esternazioni – ad esempio quella tenuta in occasione del congresso di Vox – che le evocavano) che Meloni ha ottenuto la sua vittoria elettorale, che è dovuta invece in buona misura alla voglia di “nuovo” degli italiani e alla crescente debolezza di Lega e Fi (che hanno fornito la gran parte dei suffragi alla base del successo di FdI).

Peraltro, il sovranismo predicato in passato da due dei partiti che formano la coalizione di governo, è un termine vuoto di contenuto se si tiene conto del fatto che uno stato sovrano è quello che stampa la sua moneta – come gli Stati Uniti o il Giappone – mentre un paese membro dell’Unione Europea ha delegato questa funzione alla Banca centrale dell’Unione e ad accordi fra gli stati membri. I governi eletti dai cittadini come quello presente, tanto in Italia che in Germania, hanno una doppia constituency nei confronti della quale essi sono responsabili: i loro elettori e i mercati che finanziano il debito pubblico. Anche il Regno Unito, che ha lasciato l’Unione Europea e che ha millantato la sua riconquistata sovranità, ha appena sperimentato le conseguenze disastrose per la sua economia della gestione irresponsabile delle finanze pubbliche, che hanno obbligato la prima ministra Liz Truss a immediate dimissioni. Ci dobbiamo augurare tutti che Giorgia Meloni sia in grado di condurre la nazione, attraverso una navigazione meno drammatica, verso lidi più sicuri.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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