Roma prova a rientrare nella “partita libica”. E lo fa giocando la carta, alquanto consunta, della diplomazia. Khalifa Haftar ha avuto un incontro a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, per discutere della nuova escalation nel conflitto libico, nel tentativo di arrivare a un rapido cessate il fuoco. L’uomo forte della Cirenaica, a capo delle milizie di Bengasi sostenute, tra gli altri, da Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, ha incontrato Conte intorno alle 15.30. Le prime notizie parlavano di un possibile meeting, intorno alle 18.30, anche con il primo ministro del Governo di Accordo Nazionale, alleato di Roma, Fayez al-Sarraj, informazione poi smentita dall’ambasciatore libico all’Ue, Hafed Ghaddur.

La volontà del governo italiano, dopo l’intervento militare turco al fianco delle milizie di al-Sarraj e a seguito della trasferta libica del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, è quella di riaccreditarsi come mediatore nello scacchiere nordafricano e far valere la propria posizione di interlocutore capace di dialogare con entrambe le principali parti in gioco. Ma l’impresa è alquanto difficile, come dimostra l’assenza a Roma di al-Sarraj, molto più interessato al sostegno militare garantitogli dalla Turchia di Erdogan. Per Conte è un’assenza che brucia: forse Sarraj, azzarda con Il Riformista, una fonte diplomatica a Bruxelles, dove il premier libico era in missione nel pomeriggio, è rimasto infastidito dalla fuga di notizie. Forse perché non sapeva dell’arrivo di Haftar.

E le cose non vanno meglio con il generale che sogna di diventare il nuovo raìs libico. Negli ultimi mesi i 300 militari italiani di difesa dell’ospedale militare all’aeroporto di Misurata hanno dovuto scavare un dedalo di bunker per ripararsi da una dozzina di attacchi aerei di Haftar sullo scalo. Pochi giorni fa è stata bombardata dal generale una base della milizia Nawassi a 500 metri da nave Pantelleria della Marina militare ormeggiata a Tripoli per aiutare la Guardia costiera nel contrasto dell’immigrazione clandestina. Ed ora si fanno sempre più insistenti le voci di un possibile ritiro dei nostri militari di stanza a Misurata e Tripoli. Voci smentite in serata dallo Stato Maggiore della Difesa, con un comunicato nel quale si ribadisce che «le attività concordate di intesa con le autorità libiche proseguono regolarmente. Non sussistono ipotesi di ritiro del personale militare italiano dalla Libia, dove l’impegno del contingente è apprezzato dalle autorità politiche libiche, dalla comunità internazionale e dalla popolazione libica». La situazione in Libia, aggiunge lo Stato Maggiore, «richiede un alto livello di attenzione e i militari italiani sono pronti ad attuare tutte le misure necessarie alla salvaguardia della sicurezza».

Una sicurezza minacciata da una guerra per procura che non prevede mediazioni né, al momento, un tavolo negoziale. A confermarlo è lo stesso Haftar, che ha fatto annunciare una nuova svolta nel conflitto libico: l’avanzata delle sue milizie verso Misurata, la potente milizia militare che è al fianco di al-Sarraj, il premier assediato in un’enclave che va restringendosi attorno a Tripoli. In queste condizioni, perorare il cessate il fuoco, più che un’impresa diplomatica appare una missione impossibile. Di certo per l’Europa, meno per i due player al centro della partita libica: il “Sultano di Ankara”, Recep Tayyp Erdogan, e lo “Zar del Cremlino”, il presidente russo Vladimir Putin.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.