L'intervista
Crollo borse, il finanziere Micheli: “Peggio di Lehman Brothers ma l’Ue risponda compatta, presentarsi da soli alla Casa Bianca sarebbe drammatico”

«È una situazione peggiore di quella di Lehman Brothers nel 2008». La preoccupazione travalica la nota cautela propria di Francesco Micheli, finanziere, imprenditore, mecenate, da sempre attento analista dei mercati. Quelli in Europa, ieri, hanno fatto un tonfo già dalle prime ore dopo l’apertura: 890 miliardi bruciati a metà giornata. Dopo un avvio apparentemente tranquillo a Milano e Parigi, dovuto al fatto che la maggior parte dei titoli non riusciva a fare prezzo per eccesso di ribasso, appena il quadro è stato più chiaro, il calo si è rivelato di portata continentale.
“Ci guadagna Trump”
Mentre l’economia mondiale conta i feriti, sorge una domanda spontanea anche se un po’ naif: chi ci guadagna? «Ci guadagna Trump – risponde Micheli – che sembra confondere la sfera privata dei suoi interessi con il ruolo pubblico che invece ha assunto». Bloomberg ha calcolato che sono circa 9.500 miliardi, i dollari bruciati a meno di una settimana dal Liberation Day. Momento epico, con il quale Trump aveva in realtà promesso l’ingresso di 7.000 miliardi di dollari nelle casse dell’economia Usa. Al netto dei calcoli, ormai declassificati al livello delle “opinioni matematiche” – vista la formula usata dal Tesoro Usa per decretare i dazi al resto del mondo – il pensiero va all’economia reale. L’industria, specie quella europea, già non navigava in buone acque. Sempre ieri, la produzione industriale in Germania ha segnato l’ennesima perdita: -1,3% febbraio su gennaio 2025, -4% il tendenziale. Gli investimenti rischiano di essere strozzati. La twin transition, tale per cui non c’è innovazione tecnologica se non c’è una visione di sostenibilità – ambientale e sociale, benché spuria di qualsiasi ostinazione ideologica – e viceversa, sarà la prima pagare lo scotto di questa tempesta. «Una scelta dissennata – aggiunge Micheli – tale per cui, se la situazione dovesse andare avanti, potrebbero esserci delle sorprese in termini di fallimenti importanti».
“L’Ue unita, nessuno tratti da solo con Trump”
E mentre gli operatori cercano di capire come arrestare la china – «la soluzione è sulle ginocchia di Giove», dice con suggestione Micheli – l’Europa è alle prese con quali misure concrete da prendere. Il Consiglio Ue per il Commercio, riunito in gran fretta in Lussemburgo – il ministro Tajani vi ha rappresentato l’Italia – non ha fornito una decisione ufficiale, ma ha lavorato per un messaggio unitario.
Il rischio da evitare è che anche un solo Paese si presenti alla Casa Bianca per trattare da solo. Ammesso che Trump gli apra la porta, un’eventualità simile sarebbe drammatica per l’Unione. Poi c’è da capire se agire con più fermezza, come vorrebbe la Francia, oppure se negoziare con calma. Posizione condivisa da Italia e Germania. Stando alle rispettive dichiarazioni, sembra che i tre pesi massimi dell’Unione si siano distribuiti le parti da recitare.
Assertivo è stato il ministro francese per il Commercio, Laurent Saint-Martin, che punta a un confronto costruttivo, senza però escludere «misure aggressive». Il ministro tedesco dell’Economia, Robert Habeck, ha invece invitato tutti «alla calma e alla prudenza».
L’obiettivo è evitare l’escalation di una guerra commerciale, comunque già in corso, e quindi proporre l’azzeramento reciproco dei dazi.
O, al massimo al 10%, come proposto dal governo italiano. L’Europa cerca di salvare la posizione di primato dei suoi beni industriali importati in Usa. Ma è proprio di questi che Trump vuol fare piazza pulita. Senza accettare il fatto che, in assenza della tecnologia d’importazione, quelle filiere che vorrebbe rilanciare resterebbero bloccate come sono ora.
Bazooka ultima spiaggia…
Resta il bazooka come ultima spiaggia. Gli strumenti anti-coercizione che l’Ue potrebbe adottare contre le big tech Usa si delineano sempre più come manovra inevitabile da assumere. Se ne era parlato già ai tempi del Trump I, poi con Biden erano stati rimessi in un cassetto.
L’opposizione più accesa in Europa, a rivedere le agevolazioni fiscali di cui godono le major della digitalizzazione, era giunta da Irlanda e Olanda. Ovvero i due Stati membri che godono degli investimenti Usa proprio per le politiche di detassazione messe a loro disposizione da Dublino e Amsterdam. Ieri in Lussemburgo, con lo stesso spirito anti-antieuropeista – c’è anche in Irlanda e Olanda, va detto – questa posizione è stata confermata. «No web tax, no way!». È anche vero che sparare il bazooka significherebbe assestare un colpo senza precedenti alle relazioni transatlantiche.
Lo scenario delineato dal ministro Urso è realistico: «Le ritorsioni creerebbero altro panico sui mercati». Si può esserne consapevoli senza escluderle. Si può intervenire con una web tax e, intanto, aprirsi a nuovi mercati. Ciò che l’Europa non può fare è di pensare che il tempo sia dalla sua parte. Non possiamo permetterci il lusso di agire lentamente. Ce lo dicono le Borse.
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