L'intervista
Csm, il “parlamentino dei magistrati”. Nicolò Zanon: “Ormai è diventato un organo politicamente rappresentativo delle maggioranze ideologiche”

Parliamo con Nicolò Zanon, professore di Diritto costituzionale, ex vicepresidente della Corte costituzionale e già consigliere del CSM.
Anni fa, col Centro Marongiu di UCPI, ci dedicammo assieme all’anatomia del potere giudiziario: da quei convegni e pubblicazioni, risultò come – nella Costituzione materiale – quel potere avesse assunto un ruolo egemone, molto diverso dall’originario disegno costituzionale. Non pensi che su quest’espansione abbia inciso anche l’accrescimento di funzioni che il CSM si è progressivamente autoattribuito?
Noi diciamo un po’ polemicamente che quello giudiziario dovrebbe essere un ordine, ma è sotto gli occhi di tutti che si tratti di un potere.
Del resto, nella configurazione archetipica dei poteri dello Stato, il giudiziario è uno di quelli. Si è però assistito, non soltanto in Italia, a un allargamento della sfera d’influenza del giudiziario e parallelamente al progressivo atrofizzarsi delle capacità d’intervento della rappresentanza politica democraticamente legittimata. Il giudiziario fa parte ormai della governance dei sistemi istituzionali attuali. Anche l’Unione Europea si è allargata nei suoi campi di intervento essenzialmente per via giudiziaria, attraverso il contatto fra giudici comuni e Corte di giustizia. Il fatto che – ormai – il potere giudiziario abbia assunto un ruolo, anche culturale, egemone, è innegabile: ciò pone enormi problemi di equilibrio fra poteri, di separazione fra poteri e di giustificazione democratica di scelte che vengono compiute, rispetto alle quali però la rappresentanza politica non sembra cogliere fino in fondo la sfida. La riforma di cui oggi tanto si parla, la separazione delle carriere, sarebbe un tassello di notevole importanza proprio sotto questo profilo: impossibile negare che abbia anche un significato dal punto di vista del necessario riequilibrio dei rapporti fra poteri.
Infatti, ANM lamenta che si voglia “rimettere in riga la magistratura”. Basta intendersi: se significa ripristinare fedelmente l’assetto voluto dalla Costituzione, è recriminazione impropria. Piuttosto, analoga esigenza si avverte per il rapporto esecutivo-legislativo, oggi paurosamente sbilanciato in favore del primo (Ogni cosa al suo posto, per citare Massimo Luciani). Si impara che quello giudiziario sarebbe un potere diffuso, espresso cioè dal singolo giudice al momento della iurisdictio. In realtà, attraverso le improprie sembianze assunte dal CSM, si presenta come concentrato in quest’organo: quasi un “parlamentino” dei magistrati, con le correnti al posto dei partiti.
Il CSM è diventato un organo politicamente rappresentativo delle maggioranze ideologiche e culturali presenti nella magistratura e si comporta di conseguenza. Ciò aiuta quello sviluppo sociologicamente importante della magistratura non come potere diffuso, ma organizzato. Il che non impedisce, per fortuna, che esistano giudici che applicano le leggi interpretandole secondo coscienza. È innegabile, però, che su temi particolarmente caldi esistano linee di tendenza che vengono organizzate e guidate con giurisprudenze fondamentalmente unitarie.
In Costituzione è l’art. 105 che prevede poteri e funzioni del CSM: a leggerlo, appaiono molto diversi da quelli “reali”.
L’art. 105 parrebbe tranchant: spettano al CSM assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario. Si è discusso in dottrina se si tratti di un elenco chiuso o aperto. Il CSM predilige questa seconda visione, rivendicando il proprio rango di organo costituzionale con lo scopo di garantire autonomia e indipendenza della magistratura: purché servente all’obiettivo, ogni funzione potrebbe essere liberamente assunta dal Consiglio. La tesi dell’elenco chiuso, invece, esclude che il CSM sia un organo politico rappresentativo della magistratura, riconoscendone la natura di organo di alta amministrazione, col compito di gestire amministrativamente la carriera e l’aspetto disciplinare dei magistrati. Solo la Costituzione o una legge ordinaria potrebbe allargare il campo.
Il caso più appariscente, quello dei pareri, rivela quale orientamento abbia prevalso. Si tratta di funzione prevista dalla legge, ma solo su richiesta del Ministro. È realtà, invece, che il CSM fornisca pareri senza che questi siano richiesti. Ormai, anche la Presidenza della Repubblica, dopo che il Presidente Napolitano aveva cercato di arginare l’uso di questo potere, ammette che i pareri siano rilasciati in assenza di richiesta. A quel punto, però, non si tratta più di pareri, ma di prese di posizione, di sostanziali risoluzioni consiliari riguardanti iniziative degli organi politici. Sul DDL di revisione costituzionale “separazione delle carriere”, il Ministro non aveva chiesto il parere (l’idea che ci sia un parere del CSM sull’iniziativa governativa di revisione costituzionale la trovo veramente inaudita dal punto di vista dottrinale): paradossalmente, ne sono stati espressi addirittura due. Uno di maggioranza e uno di minoranza.
Come se fosse una commissione parlamentare…
Col rispetto che porto ai consiglieri laici che hanno voluto rimarcare un’opinione dissonante da quella maggioritaria, non avrei accettato di scendere su un terreno che implica il riconoscimento della legittimità di un meccanismo per me insussistente. Avrei contestato l’idea stessa di rendere un parere non richiesto, tra l’altro invadendo campi riservati alla Corte costituzionale.
Senza dimenticare l’impatto mediatico, oltre a quello politico, che i pareri possono generare.
E non tralasciando il momento in cui vengono resi. Richiesta ministeriale e parere del CSM dovrebbero precedere la presentazione di un DDL, costituendone un supporto tecnico per la buona riuscita. Succede, invece, molto spesso che il CSM si esprima durante la discussione parlamentare o dopo l’approvazione di una delle Camere: così si enfatizza l’intento polemico positivo del parere e si disperde la funzione tecnica.
Un altro esempio di “esondazione” del CSM è quello delle pratiche a tutela dei magistrati. Anche qui la valenza politico-mediatica mi pare indiscutibile.
Si tratta di meri segnali di solidarietà politica, fino a qualche tempo fa privi di qualsiasi fonte normativa. Dal 2009, l’articolo 36 del regolamento interno – dunque non una legge – definisce almeno la procedura da seguire e i presupposti per l’intervento del CSM. È sempre una norma che si son dati da soli. Arrivo a comprendere l’intervento per tutelare la serenità del giudice che celebra un processo condizionato da un’attenzione mediatica maligna; non quello che ha presupposti politico-ideologici. Beninteso, è una funzione importante perché proietta il Consiglio in una dimensione esterna, e quindi dovrebbe esser coperta da riserva di legge. Non equivale a darsi una regolamentazione interna, come ad es. per le valutazioni di professionalità.
Una pratica che si apre ma non si chiude mai.
Sono funzioni autoattribuite, che segnalano la volontà del CSM di ergersi a organo politico. In questa stessa logica si collocano le scelte praeter legem, con risoluzioni, norme di carattere regolamentare, interventi, che vanno a collocarsi negli interstizi della legislazione in tema di ordine giudiziario, molto spesso prive di una copertura di legge. Faccio un esempio, tratto dalla mia esperienza di ex consigliere: è un tema superato dalla riforma Cartabia, riguardante il rientro in servizio dei magistrati scesi in politica. Fino a quella riforma, era la legge a stabilire i criteri da seguire per indicare la sede cui destinare il magistrato, senza nulla prevedere in ordine al tipo di funzioni cui assegnarlo. Ma il CSM, con sua circolare, “aggiunse” che, in tali casi, il magistrato doveva essere assegnato necessariamente a funzioni giudicanti, non a quelle requirenti. Assunto del tutto condivisibile, in astratto; peccato, però, che – in quanto scelta discrezionale – spettasse alla legge introdurla! La riserva di legge, qui, indica che è decisivo non il “come” si decide, ma “chi” decide…
Domanda finale, provocatoria: se passa la riforma Nordio, avremo due CSM. Tutte le considerazioni che abbiamo svolto saranno da elevare al quadrato?
Premessa: se mi chiedi una valutazione complessiva, io dico sì alla riforma. Per evitare il rischio paventato dalla tua domanda, sarà però necessario lavorare bene in sede di attuazione: considerato che i PM sono circa 1.500, andrà evitato un CSM dei pubblici ministeri gemello dell’altro, con 30 componenti e 150 dipendenti amministrativi; dovrebbe essere un organo ristretto, che rispetti le proporzioni con quello più ampio degli 8.000 giudicanti. Un organismo piccolo, meno “parlamentino” e più amministrativo, forse potrà essere più sobrio anche sugli aspetti di cui abbiamo parlato. È un auspicio, legato a come ne sarà prevista la composizione.
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