Da un po’ di anni si sente dire che, se una certa magistratura militante (o quello che noi chiamiamo il Partito dei Pm) ha acquisito tanto potere fino a esercitare un ruolo di supplenza rispetto al compito dei partiti, la responsabilità è tutta del ceto politico. Le toghe sarebbero in un certo senso state costrette a riempire un vuoto lasciato da altri. Un vuoto politico riempito con la “loro” politica. Che è fatta delle loro carriere, ma anche della loro giurisprudenza, essendo il successo di tanti pubblici ministeri intriso delle une e dell’altra. Tanto da far balzare i più popolari non solo su qualche scranno in Parlamento, ma soprattutto a governare grandi città. In un tripudio di popolo e con la passività muta della gran parte del mondo politico.

Poi è arrivato Luca Palamara a dire che anche nel mondo delle toghe il re era nudo e che tanti magistrati passavano il tempo a brigare per le proprie carriere e promozioni, e anche che ordivano complotti per impallinare qualche avversario che sedeva in Parlamento o al governo. I nomi più gettonati erano quelli di Berlusconi e di Salvini. Così chi voleva capire aveva capito quale era la vera “casta”. Altro che autonomia e indipendenza della magistratura! Il “Sistema” ha scompaginato un po’ le carte, aprendo gli occhi a migliaia di cittadini che non immaginavano che quel mondo fosse fatto di piccoli uomini più che di eroi. E ha iniettato quel po’ di coraggio che serviva al mondo politico per rialzare la testa. Anche perché –e forse la coincidenza non è così peregrina- era nel frattempo crollato il governo della maggioranza vestita in toga che sempre meno gridava “onestà-onestà”, avendo trovato altro tipo di “ideali” molto più concreti da portare a casa. Era arrivato Mario Draghi, con Marta Cartabia come guardasigilli.

Così ora ci troviamo a un bivio. Da una parte un Csm che il lunedì pare fatto di pugili suonati e poi il martedì trova la forza di spedire in pensione il recalcitrante Davigo senza più subirne il fascino. Ma che compie poi il passo falso, con la radiazione di Palamara. Un gesto imprudente, perché di questo magistrato ex-potente la casta togata non si libererà facilmente, e non stiamo parlando di ricorsi. Stiamo dicendo che l’Italia intera conosce la persona ed è al corrente di quel che ha disvelato. E si domanda come mai lo Stato abbia coccolato e riverito fior di criminali “pentiti”, consentendo loro di dire verità e bugie, a volte persino, da liberi, di consumare vendette, anche con omicidi. E come mai, se il “pentito” accusava i politici era un eroe, e se invece disvela fatti gravi commessi dalle toghe viene addirittura cacciato. Tanta paura da arrivare a zittire lui e i suoi testimoni? Ma sarà difficile liberarsi di lui. Passo falso.

Sembra che scatti una specie di giustizia sommaria, quella della fretta. La stessa che ha di fatto espulso dalla magistratura un uomo come Otello Lupacchini. Chi ha ascoltato a Radio Radicale lo svolgimento delle sedute della commissione del Csm che ha processato l’ex procuratore generale di Catanzaro non può non aver notato il senso di fastidio del presidente Fulvio Gigliotti e del procuratore Marco Dall’Olio mentre il dottor Lupacchini parlava. Avrebbero dovuto rispettare la sua competenza, la sua cultura. Invece avevano fretta. Ma la magistratura intera, quella associata nel sindacato unico e quella presente nel Csm, farà bene a riflettere su queste due (ancora) toghe, sulla frettolosità con cui li ha spinti fuori come fossero zanzare fastidiose. Perché, come ha detto quello più anziano, «non avranno pace».

Anche perché non sta passando inosservato il fatto che, mentre il Csm pare avvitato in modo corporativo su se stesso, la ministra Cartabia non sta con le mani in mano. Sono pronti gli ispettori sugli uffici giudiziari di Verbania per verificare se nell’inchiesta sul grave incidente della funivia, la gip Donatella Banci Buonamici, che aveva scarcerato, sia stata tolta di mezzo perché troppo garantista. E sulla procura di Milano per capire per quale motivo il vertice dell’ufficio abbia impedito al pm Paolo Storari di arrestare per calunnia l’avvocato Piero Amara e l’ex manager Eni Vincenzo Armanna, preferendo preservarli come testi d’accusa nel processo Eni, quello in cui gli imputati sono stati poi assolti, nonostante una serie di prove loro favorevoli non fossero state presentate dai pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro.

I quali, oggi indagati a Brescia, avrebbero però voluto far entrare nel processo Eni la testimonianza dell’avvocato Amara, il quale aveva definito il presidente del tribunale Marco Tremolada come “avvicinabile” dagli avvocati della difesa. Il che avrebbe costretto il presidente ad astenersi. Fatti molto gravi, su cui vedremo a che cosa porteranno le ispezioni della ministra. Ma anche che cosa avrà il coraggio di fare questo Csm ancora avvitato sulla propria storia di Casta.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.