Questa settimana dedichiamo l’approfondimento di PQM ad una istituzione cruciale per gli equilibri costituzionali della nostra democrazia: il Consiglio Superiore della Magistratura. Compito tutt’altro che agevole, dal momento che chiunque osi avanzare argomentati dubbi sulla conformità dell’assetto da tempo raggiunto da quell’organismo al suo originario modello costituzionale, viene immediatamente iscritto nella lista dei cattivi cittadini, irrispettosi delle istituzioni ed ostili alla autonomia ed alla indipendenza della magistratura. Invece il tema di un progressivo affermarsi di una costituzione materiale quanto alle funzioni ed ai poteri del Consiglio, concretata negli anni da una incessante auto-attribuzione di ruoli e compiti non scritti, è questione sempre più viva ed urgente, se addirittura l’attuale Vicepresidente Fabio Pinelli ha ritenuto (e mal gliene incolse) con grande onestà intellettuale di dover esprimere l’auspicio di un ripensamento critico sul tema. Che non può non considerare, per di più, l’ingabbiamento delle dinamiche consiliari nelle degenerazioni correntizie della Magistratura, ben illustrate dalla esplosione della vicenda Palamara, e dall’inglorioso esito autoassolutorio che di essa si è voluto dare.

La terza Camera della Repubblica

Le preziose riflessioni che questa settimana, tra le altre, vi proponiamo, di Nicolò Zanon, ordinario di diritto costituzionale e già giudice della Consulta; di Gianni Borgna, già magistrato oltre che autorevole protagonista dell’associazionismo delle toghe; e del prof. Alessio Lanzi, avvocato che ha da poco concluso la sua esperienza di membro laico del CSM, testimoniano la profonda ed allarmante gravità della crisi di questa -ripetiamolo- cruciale istituzione democratica. Che nel tempo, da organo di governo autonomo della magistratura, cioè di alta amministrazione delle carriere e della giustizia disciplinare degli appartenenti all’ordine giudiziario, si è trasformato in una terza Camera della Repubblica per tutto ciò che riguarda la legislazione in materia di giustizia, e nel fortino dell’autogoverno, cioè nella quotidiana affermazione della inespugnabile irresponsabilità del potere giudiziario. Dell’unico dei tre poteri dello Stato -ricordiamolo sempre- cui è di fatto garantita (innanzitutto dal CSM, appunto) la più assoluta irresponsabilità.

L’irresponsabilità 

Irresponsabilità assicurata dalla implacabile automaticità degli avanzamenti di carriera, del tutto a prescindere dalla qualità del lavoro svolto dal singolo magistrato; dalla insindacabilità disciplinare in ordine al merito dei provvedimenti adottati, e dalla giustizia disciplinare a dir poco indulgente, oltre che amministrata da acrobatici equilibri correntizi. Esemplare la storia che potete leggere nella nostra Quarta Pagina-solo una tra le mille che potrebbero essere raccontate- degli esiti penali e disciplinari riservati ad un Collegio di un Tribunale che infligge una condanna ad 11 anni di reclusione ad un imputato, senza aver nemmeno fatto parlare il difensore.
Una di quelle storie che appaiono incredibili, e che invece sono la esatta rappresentazione di questa vera e propria realtà parallela di un potere, quello giudiziario, chiamato a giudicare le condotte degli altri, ma che di fatto rivendica orgogliosamente il diritto di non giudicare sé stesso.

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Avvocato