Non ho partecipato né ho approvato la gogna a cui è stato sottoposto Gennaro Sangiuliano. Né faccio parte di coloro che danno un giudizio del tutto negativo sulla sua opera di ministro. Ad esempio ho apprezzato il filo di continuità che ha saputo tenere – anche grazie ai consigli di Sgarbi – con la importantissima riforma Franceschini dei musei statali, e sulla quale peraltro lo stesso parlamentare ferrarese aveva già spinto il freno. Hanno avuto l’autonomia i musei di Ferrara e Ravenna, per fare un esempio. Avevamo condiviso l’impegno per acquisire alla proprietà pubblica Villa Verdi e l’intesa per creare a Bologna un nuovo museo dedicato alla cultura italiana, con finanziamento di Illumia. Infine Sangiuliano non aveva neanche tutti i torti nel denunciare qualche spreco nel mondo del cinema, anche se un certo margine di rischio va considerato fisiologico quando si investe nella produzione e se la terapia dei tagli non è certo la soluzione corretta.

Come andrebbero riorganizzati i musei

Ciò premesso per onestà, la vita continua e mi sento di offrire qualche consiglio al nuovo ministro Giuli. Prima di tutto continuare la riforma dei musei statali, superando le direzioni regionali. Queste non sono nulla più che un resto, l’insieme di tutti i musei che non hanno avuto l’autonomia, quindi non hanno un’identità, né sono governabili in modo efficiente giacché si estendono su aree regionali quasi sempre molto vaste. Occorre dunque concedere l’autonomia ai restanti musei di taglia XL o almeno L, e aggregare i più piccoli, taglia S, a quelli grandi già autonomi, o per area o per disciplina: ad esempio i musei archeologici dell’Appia campana, come Teano e Sessa Aurunca, potrebbe essere accorpati alla Reggia di Caserta o al MAN di Napoli, come ha deciso Sangiuliano per il Castello di Torrechiara di Langhirano, che ora è gestito dalla Pilotta di Parma. O, ancora, la Certosa di Padula a Paestum e Velia. O anche, anzi meglio, tanti musei minori potrebbero essere assegnati alla gestione degli enti territoriali, o almeno cogestiti con Comuni, Province e Regioni, ma anche fondazioni, secondo forme già contemplate dal Codice dei beni Culturali.

La considerazione della riforma del Titolo V

Il Codice è il frutto di una felice stagione di speranze autonomistiche, là ove indica la necessità della collaborazione fra istituzioni centrali, regionali e locali. Il patrimonio italiano è diviso quanto a proprietà e competenze, e dunque non può che essere gestito in modo coordinato secondo un ordinamento storico, artistico razionale piuttosto che secondo la proprietà. Eppure un funzionamento a rete così non capita quasi mai. Una svolta decisa occorre invece in materia di spettacolo, là ove il MiC pare preso da una smania di centralismo e dall’oblio delle competenze ordinarie delle Regioni. Il che è surreale per un governo che vuole mettere la quinta sull’autonomia differenziata, ossia straordinaria. Ora io capisco che, senza dirlo esplicitamente, ormai tutto l’arco parlamentare considera una sciagura la riforma del Titolo V, che tanti – spesso gli stessi che 30 anni fa si definivano federalisti (addirittura, troppa grazia!) – ora trovano normale che il governo (oltre a Regioni, città metropolitane e Comuni, quando non anche i quartieri, che già lo fanno) si occupi di bande musicali e che nemmeno le scuole materne siano lasciate alla gestione di Regioni e Comuni. Con buona pace dei princìpi costituzionali di differenziazione, adeguatezza e – soprattutto – sussidiarietà. Ma, vivaddio: almeno le forme, almeno un po’ di ipocrisia!

I bandi sul cinema

Prima dell’ennesimo rinvio del Codice dello Spettacolo, il ministero aveva incontrato enti e sindacati, operatori e artisti, tutti, ma non le Regioni, benché Stato e Regioni operino in materia in regime concorrente. Alcuni importanti bandi sul cinema sono stati recentemente pubblicati ancor prima che le Regioni potessero esprimere il loro parere, obbligatorio per legge, sul decreto ministeriale che regola l’emanazione dei bandi stessi. La concertazione con l’AGIS – certo, assai importante – viene curata più della leale collaborazione con le Regioni, che investono nel sistema culturale centinaia di milioni di euro di risorse pubbliche. In generale, la percezione non è mai che il ministero abbia interesse a creare, con le altre istituzioni pubbliche, una concertazione al servizio di una grande politica nazionale per la cultura. Ministro Giuli, non la conosco di persona ma lei ha un’aria rasserenante. Mesi fa l’ho vista sopportare l’aggressività della Gruber con un sorriso paziente. È un bel test! Ho fiducia che ce la potrà fare anche con noi, Regioni, città metropolitane, Comuni.

Mauro Felicori

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