L'intervista
Da 10 anni Napoli non è amministrata, serve una strategia”, parla lo storico Paolo Macry
«Napoli è stanca. Pesano su di lei i comportamenti di un sindaco che ha deciso di non governare, recando danni enormi alla città. Adesso Napoli deve scegliere la sua identità e per farlo serve una task force, ma temo che nessuno se ne stia occupando». Paolo Macry, storico e tra i più autorevoli osservatori delle dinamiche della città, spiega in che condizioni versa Napoli.
Professore, che città ci troviamo di fronte?
«Prima della pandemia Napoli era una città stanca, per certi versi rassegnata, indifferente. Basti pensare all’indifferenza di fronte a un processo di degrado ambientale e architettonico che va dallo scempio dei pini del Virgiliano alla fatiscenza del centro storico. Chi se n’è accorto, a parte qualche volonterosa associazione civica? Sarebbe mai potuto accadere a Milano o a Bologna che interi pezzi di città languissero senza manutenzione alcuna nel silenzio dell’opinione pubblica? Inutile aggiungere che la pandemia aggraverà tutte le criticità di questa che è pur sempre la terza città italiana».
Qual è la dimostrazione più evidente del fallimento di de Magistris?
«Non avrei dubbi: la condizione materiale della città. De Magistris ha scelto di non amministrare, di non governare i processi sociali ed economici, di lasciar fare. Ha pensato di riempire un simile vuoto con qualche slogan populista. E agitando la bandiera della Napoli vessata. Vessata di volta in volta dal Governo centrale o dalla Regione, dal Nord o dalla finanza rapace. Slogan privi di senso. E intanto la finanza locale ha prodotto un buco enorme».
Durante il mandato di de Magistris quant’è pesata la mancanza di un’opposizione? Pare che solo i movimenti civici si siano concretamente opposti alla sua amministrazione.
«Bisogna riconoscere la generosità di quanti hanno cercato di sollecitare la società napoletana ad assumere un ruolo più attivo. Ma bisogna anche riconoscere che i risultati sono stati poveri. A Napoli, del resto, manca una robusta opinione pubblica. L’elettorato cittadino, spesso e volentieri, è sembrato fare la scelta più superficiale perché era la più altisonante e la più demagogica. Senza dire che sono stati in molti, moltissimi, a decidere di lavarsene del tutto le mani. Napoli ha un astensionismo incomprensibile, se si pensa alla gravità dei suoi problemi strutturali».
Forza Italia si appresta a salvare de Magistris e ad approvare il bilancio, secondo lei il Comune andrebbe invece commissariato?
«La polemica è molto accesa. A me sembra una polemica futile. L’opposizione a de Magistris ha avuto quasi dieci anni per metterlo in crisi sul piano consiliare o almeno per preparare una crisi consiliare. E, per una ragione o per l’altra, non l’ha mai fatto. Direi perciò che se ne ricorda un po’ tardi. Non credo proprio che un commissariamento in limine mortis abbia qualche significato. Mi sembra l’ennesimo artificio di una politica politicante che interessa solo ai politici politicanti».
Napoli risorge sempre dalle proprie ceneri, questa volta da dovrà ripartire?
«Napoli deve scegliere. Deve darsi una strategia. Città d’arte turistica? Città dell’innovazione e della ricerca? Città del waterfront? Città del microterziario? Comunque andrebbe discussa una prospettiva di medio-lungo periodo. Tanto più nel quadro delle risorse che l’Unione europea si appresta a stanziare per i Paesi colpiti dalla pandemia. Ma c’è qualcuno, tra Palazzo San Giacomo e Palazzo Santa Lucia, che sta riflettendo su un simile tema? A me non pare, ma forse non sono informato».
Quale modello di sviluppo economico immagina per la città, ora che il turismo è in ginocchio?
«Le attività economiche legate al turismo naturalmente andrebbero aiutate a sopravvivere. E, se di turismo bisogna parlare, la città andrebbe anzitutto riqualificata nel suo patrimonio architettonico e messa a regime nel suo patrimonio urbanistico (a partire da strade e metropolitane) Ma è difficile che un’area metropolitana di tre milioni di anime possa basarsi soltanto o prevalentemente sul turismo. Faccio solo due nomi. Apple Academy e Molo San Vincenzo. Le strade, in altri termini, sono più di una e (per una volta) varrebbe la pena di mettere al lavoro una task-force che, con competenze allargate e multidisciplinari, proponesse le linee di crescita e l’identità stessa della Napoli del 2020. Dopodiché bisognerebbe dare spazio alla società, alle risorse diffuse, al mercato, ai napoletani».
Il centrodestra ricorre alla società civile per individuare il proprio candidato sindaco, mentre a sinistra si parla di un ritorno di Bassolino. Possibile che si debbaricorrere a un “grande vecchio” della politica e che Napoli non abbia un nome nuovo?
«Bassolino ha alle spalle molti errori, molte cose buone e, com’è noto, molte assoluzioni. Se mai deciderà di partecipare alla competizione, dovrà scalare ostilità personali e diffidenze ideologiche. Non sarà per niente facile. Certo è, però, che prima di discettare sui “grandi vecchi”, sarebbe interessante capire se ci sono e chi sono le giovani promesse. Certe volte le giovani promesse sono una iattura. I grillini hanno riempito il Parlamento e il Governo di giovani promesse delle quali, personalmente, avrei fatto spesso a meno».
Il modello politico di Dema, caratterizzato da una “ribellione a prescindere” contro gli altri livelli istituzionali, è fallito: il prossimo sindaco dovrà essere un “uomo delle istituzioni”?
«Il conflitto tra istituzioni, cioè – per chiamare le cose col loro nome – tra de Magitris e De Luca è stato deplorevole politicamente e assai dannoso per la città. È ovvio che il meno che si possa chiedere al nuovo sindaco è il recupero di una consapevolezza istituzionale».
La questione Bagnoli è vittima di un calvario senza fine. De Luca non ne parla e il ministro Provenzano ha più volte ribadito che i fondi in arrivo dovranno essere spesi per progetti nuovi e di facile realizzazione: dobbiamo deporre la speranza di vedere l’area dell’ex Italsider finalmente recuperata?
«Il caso Bagnoli riassume quello che abbiamo detto: un ceto di amministratori pubblici nel migliore dei casi inefficiente, la latitanza dell’impresa privata, l’indifferenza dell’opinione pubblica. Così si sono spesi inutilmente centinaia di milioni, come ha certificato la Corte dei Conti».
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